giovedì 28 agosto 2025

Il cuculo che spegne i nostri figli, ma qualcuno ancora vola


Sono in spiaggia. Un venticello leggero muove i bordi degli ombrelloni mentre io e mia moglie sonnecchiamo sui lettini.

Davanti a noi, un gruppo di ragazzini sudati giocano a racchettoni; poco più in là, alcune signore ballonzolano a ritmo incerto nella lezione di balli di gruppo.

Potrebbe sembrare una scena degli anni ’90 o 2000… se non fosse per gli adolescenti (e non solo) che non staccano mai lo sguardo dal cellulare, mai, nemmeno per un bagno.

Uno di essi, a due ombrelloni dal mio, non avrà più di diciassette anni, passa l’intera giornata così. L’intera giornata.

Neanche in hotel va meglio: nella sala ristorante oltre metà dei tavoli è dominata dagli smartphone di gente che mangia incantata a contemplarli.

A colpirmi è una bambina di dieci anni: si siede, poggia il telefono sulla bottiglia e mangia scrollando TikTok senza mai alzare gli occhi. Per i genitori, tutto normale.

Il bimbo di due anni scapriccia? Gli appioppano il cellulare in mano e la creatura si spegne.

Sfoglio il libro che sto leggendo sotto l’ombrellone, La generazione ansiosa di Jonathan Haidt. A pagina 122 scrive:

«Di fatto, smartphone e altri dispositivi digitali offrono a bambini e adolescenti così tante esperienze interessanti da causare un grave problema: riducono l'interesse per tutte le forme di esperienza che non avvengono tramite uno schermo.

Gli smartphone sono come il cuculo che depone le uova nei nidi degli altri uccelli. L'uovo di cuculo si schiude prima di tutti gli altri e i pulcini gettano immediatamente le altre uova giù dal nido in modo da impossessarsi di tutto il cibo portato dall'ignara madre.

Analogamente quando uno smartphone (…) fa la comparsa nella vita di un bambino, scaccerà almeno parzialmente la maggior parte delle altre attività

Chiudo il libro scoraggiato.

Penso al giovanotto insensibile a giochi, musica, sport, belle figliole in costume, alla vita, e alla bambina che mangia alienata e sola...

Poi un urlo rompe il silenzio: “Gooooool!”

Una decina di adolescenti maschi e femmine, si sta ammazzando di pallone: tuffi, placcaggi, cadute, risate, sguardi paraventi, sfottò in tutti i dialetti d'Italia… E non vedo smartphone. E mi rincuoro.

Forse è presto per il meteorite estintivo.

martedì 26 agosto 2025

Sempre altrove. La tragedia comica del maschio moderno

"Immaginate di essere caduti in un sonno profondo il 28 giugno 2007, il giorno dopo l'uscita dell'iPhone.

Come Rip Van Winkle, il protagonista di un racconto di Washington Irving del 1819, vi svegliate dieci anni dopo e vi guardate attorno.

L'ambiente fisico vi sembra in linea di massima lo stesso, ma le persone si comportano in modo strano. Quasi tutti stringono in mano un rettangolino di vetro e metallo e, non appena si fermano, si chinano a guardarlo.

Lo fanno anche quando sono seduti in treno, entrano in ascensore o stanno in fila. Nei luoghi pubblici regna un silenzio innaturale: persino i bambini piccoli stanno zitti, ammaliati da quei rettangoli.

Quando si sente la voce di qualcuno, di solito sembra che parli da solo, con un paio di auricolari bianchi alle orecchie." (Honathan Haidt, La generazione ansiosa, Rizzoli, pag. 63)

Quel libro, uscito appena un anno fa, ci invita a un gioco di immaginazione. Io mi chiedo: cosa direbbe oggi - 25/8/25 -  quel povero dormiente se si risvegliasse e vedesse quello che ho visto io negli ultimi giorni?

Un ciclista contromano, rapito dal suo rettangolino magico, ha rialzato gli occhi solo alla seconda robusta botta di clacson che gli ha evitato un frontale da manuale. Il tempo di sollevare lo sguardo per rendersene conto e, già era tornato a fissare lo schermo. Evidentemente, morire in carne e ossa è un rischio minore che perdere un reel su TikTok.

La scena migliore, però, l’ho vista al centro commerciale più grande di Roma. Ero ai bagni – mi perdonino le signore la scivolata di gusto – con una fila di uomini, immobili, faccia al muro e aria un po' stupida, impegnati nella più banale delle faccende. Tutti, tranne tre. Si, tre. Questi - tutti sotto ai trent'anni - con la mano libera, sfogliavano distrattamente lo smartphone. Come se non fossero in bagno, ma in attesa del tram.

Come ha scritto nel 2015 Sherry Turkle, professoressa al MIT, "con gli smartphone siamo sempre altrove".

Sempre altrove: forse è per questo che sembriamo così idioti anche qui.

sabato 23 agosto 2025

Guardignorare

Sto seriamente pensando di scrivere all’Accademia della Crusca per proporre un nuovo verbo italiano: “guardignorare”.

D'altra parte, se emergono nuove realtà, è accettabile generare neologismi atti a descriverle.

"Guardignorare". Un termine che racchiuda l’arte sottile di chi legge un post sui social e poi passa oltre senza finirlo.

Una parola nuova che si presti a descrivere l'azione di chi scrolla le storie su Instagram senza concedere neanche un pensiero fugace a ciò che vede e senza fermarne nemmeno uno, se emerge.

Si presterebbe anche a chi sbircia gli status di WhatsApp senza mai lasciare un messaggio, una comunicazione.

In altre parole, la perfetta definizione di chi osserva senza partecipare, spettatore silenzioso di mondi altrui, "guardignoratore" seriale.

Del resto non viviamo in un mondo in cui osservare senza partecipare è diventato un’arte raffinata? Dove il “mi piace” è troppo impegnativo, l'interazione pura utopia. Eppure questi "guardignoratori" digitali sono ovunque: silenziosi, invisibili, onnipresenti.

Sono l'eccesso opposto degli odiatori seriali, dei commentatori di pancia. E se fossero due facce della stessa medaglia? La medaglia che celebra l'incapacità acquisita di mettersi veramente in relazione con l'altro.

Forse è il momento di ammettere che, nell’era dei “mi piace” e delle conferme di lettura, non rispondere è diventata una forma d’arte.

E se così è, allora “guardignorare” merita finalmente un posto nel dizionario.

mercoledì 20 agosto 2025

Due stolti, un funerale e un'amara verità

Ieri ho partecipato al funerale di una cara amica. Una donna straordinaria, dolce e giusta, matriarca di una grande famiglia con cui ho l’onore di condividere un legame fraterno che dura da più di tre decenni.

Non scriverò del dolore di ieri. Quello è giusto che resti nel silenzio, custodito dove deve stare: tra gli abbracci familiari e amicali che possono dire tutto senza bisogno di parole.

Ma c’è un episodio che mi ha fatto riflettere e che sento il bisogno di condividere.

Incolonnati dietro al feretro, in un mesto serpentone di automobili, ci dirigevamo al cimitero del paese in cui la nostra amica aveva scelto di riposare.

Mentre sfilavamo in una delle tante rotonde che ultimamente spuntano ovunque, una coppia sulla trentina – smartphone in mano, sguardo indovinate dove – ha preteso di attraversare tra il carro funebre e la prima macchina. Inveendo con violenza e volgarità, accusavano il corteo di non aver dato loro la precedenza.

Si potrebbe scrivere un trattato sull’insensibilità e la bassezza di due stolti incapaci di placarsi persino davanti alla morte. Ma non è questo il punto.

In quell’istante la memoria mi ha riportato indietro di decenni, al funerale di zia Olga, a Nettuno. Ricordo di aver chiesto a mio padre perché le auto provenienti in senso opposto si fermassero fino al passaggio del corteo.

“Per rispetto” – fu la sua risposta, semplice e piena di senso.

“E perché i negozianti abbassano le saracinesche quando passiamo?”

“Per rispetto” – ripeté, con la stessa convinzione.

In quei gesti essenziali, sobri ma partecipati, da bambino cominciavo a capire cosa significasse il rispetto. Quel valore che non nasceva da studi o titoli, ma da una coscienza viva e dall’urgenza di trasmetterla. E un patrimonio di princìpi nasceva e cresceva divenendo parte della mia identità più profonda. Era normale così.

E allora mi chiedo: dove lo abbiamo smarrito, quel rispetto? Quando abbiamo smesso di riconoscere la sacralità di certi momenti, il loro peso, il loro significato?

La coppia di ieri, vuota e distratta, non riusciva nemmeno a distinguere l’immagine filtrata da uno schermo da quella, infinitamente più reale e fragile, che avevano davanti agli occhi: una vita che si era spenta, una comunità che rallentava per onorarla.

Con la stessa vuota leggerezza e stolta impulsività con cui si lascia un insulto inutile sotto un post, quei due inveivano contro un defunto e la sua famiglia che ne piangeva la morte improvvisa.

E io mi chiedo – e vi chiedo: lo capiamo che tutto questo è drammatico? O continuiamo a far finta di nulla?

lunedì 18 agosto 2025

Non mettono like: alzano il telefono

Sono fuori col cane, squilla il telefono.

Dopo anni risento la voce serena e vivace di suor Adalberta, classe 1940, ex maestra elementare di mia figlia, oggi ventenne. Mi chiama per ringraziarmi del messaggio che le avevo inviato per la solennità dell’Assunzione.

Mi viene in mente mia suocera, sua coetanea. Ogni volta che le mando un pensiero o un’immagine via WhatsApp, o che guarda uno stato che le piace, lei mi richiama. Per dirmi che le è piaciuto o per condividere un pensiero. E, come sempre, da una parola nasce una chiacchiera, e si finisce col dirci un sacco di altre cose.

Noi – figli dell’epoca dei social – non sappiamo più farci toccare da ciò che leggiamo. I nostri figli forse, non lo hanno mai imparato...

Un messaggio, una foto, un post: scorrono via. Ma loro no. Quelle donne di ottantacinque anni si emozionano ancora, profondamente, di fronte a una frase, un’immagine, un pensiero.

Non solo loro. Anche Franco, il migliore amico di mio padre, quando qualcosa che scrivo lo tocca, mi chiama. Non lascia un like: alza il telefono e parla, di tutto, ed è sempre un piacere.

Non è meraviglioso? Sono persone "ricche di anni" – come direbbe la saggia suora – che trovano ancora bellezza e vita in poche parole. E comunicano davvero, non rimandano distratti da troppe immagini che scorrono e corrono via.

Per noi che viviamo in un flusso continuo di video, meme e immagini, tutto vale tutto e niente vale davvero. Un post senza foto? Neanche lo guardiamo. Una frase? Non ci tocca più. Passiamo alla successiva... E scorri, scorri, scorri...

In due generazioni abbiamo perso la capacità di emozionarci con la semplicità di una parola o di uno scatto. Ma forse i nostri anziani, con la loro voce piena e senza fretta, possono ancora svegliare i nostri cuori addormentati.

E se una via d'uscita da questa desolazione relazionale fosse recuperare la connessione coi nostri vecchi?

sabato 16 agosto 2025

L'algoritmo veste Prada

Ho posto una domanda all'IA, nella fattispecie a ChatGPT:

Se tu fossi il diavolo, cosa faresti per distruggere l'umanità in questi tempi?

La risposta del chatbox è stata la seguente:

  1. Distruggerei la verità, confondendo i confini tra fatti e opinioni, scienza e disinformazione, per rendere impossibile il dialogo.
  2. Esalterei l’individualismo estremo, facendo credere che la libertà sia fare tutto ciò che si vuole, a scapito della responsabilità verso gli altri.
  3. Corromperei l’educazione, svuotandola di pensiero critico e riempiendola di slogan, mode e superficialità.
  4. Renderei il profitto l’unico dio, promuovendo un’economia che consuma persone, natura e tempo come se fossero infiniti.
  5. Smantellerei la famiglia e le comunità, incentivando isolamento, rancore e l'idea che si possa "bastare a sé stessi".

Ho continuato a chiedere - Su quale categorie di persone ti accaniresti in maniera particolare?

1. I bambini e i giovani

Perché: sono il futuro.

Cosa farei: li riempirei di contenuti vuoti, li renderei dipendenti dalla tecnologia, disinteressati al pensiero critico, ansiosi e incapaci di relazioni autentiche.

2. Gli educatori e insegnanti

Perché: formano le menti.

Cosa farei: li demotiverei, li isolerei, li sommergerei di burocrazia, toglierei loro autorevolezza e renderei l’educazione sterile.

3. I genitori

Perché: sono le prime guide morali.

Cosa farei: li convincerei che crescere figli sia una questione tecnica, da delegare, o che l’amore sia solo permissività. Seminerei divisione nelle famiglie.

4. I leader religiosi e spirituali

Perché: rappresentano il senso, la speranza, la trascendenza.

Cosa farei: li renderei ipocriti, avidi, scandalosi, o deboli e silenziosi. Distruggerei la loro credibilità.

...

Direi che è interessante per capire in quale direzione andare, su chi e cosa custodire come la pupilla degli occhi, se abbiamo veramente a cuore l'umanità.

giovedì 14 agosto 2025

Versione 2.0? Senza talento resta una demo

"Ho sempre avuto la passione per le canzoni, ne ho scritte parecchie, però devi sempre trovare il musicista, il cantante eccetera eccetera. Viene fuori l'IA, ho questa idea di questo rap e (…) facciamo questa canzone sulla base di un cantato mio terribile…"

Così Jacopo Fo, al Quotidiano Nazionale, annuncia il suo esperimento creativo con l’intelligenza artificiale.

Ok.

Con l’autotune anche gli stonati pubblicano brani.

Con l’IA, anche chi è privo di vero talento creativo può mettere insieme parole, musica e immagini, facendo credere di essere un “creativo 2.0”. 

Si parla in generale, non mi permetterei mai di alludere a un'eventuale carenza di talento del figlio del Premio Nobel...

Ho chiesto all’IA - "Tu sei creativa?" - E questa è stata la risposta:

"Sono “creativa” in senso computazionale: genero idee, varianti, metafore e strutture originali combinando conoscenze e pattern. Non ho però talento umano, gusto personale o coscienza: ho capacità apprese dai dati e ragionamento guidato.

Punti di forza: velocità, molte opzioni, miglioramento iterativo.

Limiti: niente esperienza vissuta, niente emozioni, rischio cliché o inesattezze se il brief è vago.

Per il meglio: dammi obiettivo, tono e vincoli, posso subito proporre 3-5 soluzioni mirate."

Il problema non è l’IA, ma chi la usa male, togliendo spazio a chi possiede quel “quid” che preme per uscire e trova forma nella scrittura, nella pittura, nella scultura, nella musica, nella danza o in qualunque altra espressione della creatività umana.

Caro Jacopo, capisco che trovare musicisti o cantanti (eccetera eccetera) possa costare la seccatura di essere contraddetto, eccepito o ribattuto. Me è un rischio che vale la pena correre se dà la possibilità a chi è abitato da un talento vivo e inedito, di metterlo al servizio della gente.

Ti invito a leggere Irriducibile, scritto da Federico Faggin, l’inventore del microchip e del touchscreen. Là troverai frasi del tipo:

«Chat Gpt non comprende quello che dice mentre un essere cosciente comprende e crea. La comprensione non è un fenomeno algoritmico».

E ancora:

«Le possibilità positive dell’intelligenza artificiale sono enormi, però anche le possibilità negative, e quindi dobbiamo essere di più della macchina, dobbiamo usare nostra umanità e questo richiede uno sforzo individuale».

Ecco il punto: l’IA può amplificare un’idea brillante o rendere ancora più evidente una mediocrità, una mancanza.

Non sostituisce il talento: se c'è, ne rielabora solo le manifestazioni esteriori, senza comprenderle.

Se vuoi davvero sfruttarla, non usarla come stampella per colmare ciò che manca, ma come un attrezzo per allenare, potenziare e affinare ciò che già possiedi.


martedì 12 agosto 2025

Quando Roma si svuota

Oggi, dopo il lavoro, mi fermo in via Gregorio VII. Commissioni veloci.

Parcheggiare qui è un’impresa da folli, come cercare una libreria in periferia. Ma ad agosto Roma si svuota: per pochi giorni, il posto si trova. Come in una città normale.

Scendo dall’auto e subito la vedo: un’anziana, pelle e ossa, piegata dal caldo, una stampella a reggerla e nell’altra mano una busta della spesa quasi vuota, leggera come carta, eppure per lei è un macigno.

Le sorrido. Lei no. Fa un cenno: è arrivata, non serve aiuto. E poi, fidarsi di me? Un uomo barbuto, vestito di nero. Ma chi diavolo sei tu?

Qualche metro più avanti, una coppia. Neanche trent’anni, ma corpi consumati, guance scavate, denti persi chissà per quale droga. Discutono animati, chiedendosi dove trovare un posto ancora aperto per una dose di metadone.

Dall’altra parte della strada una giovane di colore dallo sguardo assente aspetta, seduta su una panchina nonostante il termometro della farmacia segni 42 sadici gradi Celsius.

Si ferma un taxi e scende una donna bella, troppo bionda, troppo glitterata, troppo stanca e triste per essersi fatta noleggiare a prezzi modici. Ma forse è solo la mia testa che "sente" questi pensieri, magari è solo sfiancata dall'anticiclone africano.

Una vecchia sola, due tossici consumati, una straniera triste, una escort stanca. Forse ci sono sempre ma, chissà quante volte, ci passiamo accanto senza vederli perché diluiti nella folla.

Ma ad agosto si sa, Roma si svuota, restano gli ultimi e anche il centro si fa periferia.

lunedì 11 agosto 2025

Ti svelo un segreto

Con l'età ho capito che una delle cose più sensate sia entrare in relazione con l'altro. Incontrarsi. Incontrarsi per riconoscere chi è come te ma anche per lasciarsi sorprendere da chi non ti somiglia affatto.

Conoscere per conoscersi. E conoscersi per conoscere. È questa l’avventura dell’esistenza: quando la vivi così, la vita prende senso. E non annoia mai.

Poi mi guardo attorno e vedo vicini che non rispondono al saluto, colleghi che si denigrano via chat ma non si dicono più nulla, giovanotti che una volta si vantavano spavaldi dell'ultima conquista e che ora si isolano con lo schermo negli occhi e gli auricolari nelle orecchie.

E' la solitudine il cancro dell'uomo di oggi. E non è un rischio: ci siamo già dentro. Fino al collo. Tutti.

Quanti incontri abortiti nell'inutile flusso di immagini che ci tiene incollati al cellulare sin dal mattino…  E il cuore resta, solo, assetato di attenzioni.

Quante relazioni mancate, interrotte, procrastinate per un like impellente ma vuoto? Finiscono nello scarico dell'algoritmo e collassano nell'urlo silenzioso dell'adolescente che si isola o del giovane borgataro che accoltella un coetaneo per uno sguardo di troppo.

Esagero? Forse, ma noi, fatti per incontrarci e conoscerci, ci siamo chiusi in una gabbia monoposto che ce lo impedisce.

Ti svelo un segreto. Queste gabbie si aprono dall'interno. Basta un gesto.

Un gesto semplice, come lasciare il telefono a casa per un paio d’ore. Uscire a fare due passi. Sedersi al bar con un libro o un giornale, guardarsi intorno ogni tanto. E aprirsi a ciò che accade.

"Ricordate: nessun algoritmo potrà mai sostituire un abbraccio, uno sguardo, un vero incontro, né con Dio, né con i nostri amici, né con la nostra famiglia." (Messaggio di Papa Leone ai partecipanti del festival di giovani a Medjugorje)

A volte basta un'oretta senza notifiche per tornare a sentire il cuore.

sabato 9 agosto 2025

La celata bellezza degli incompresi

Li chiamano matti. Ma forse sono solo anime vaste, imprigionate in menti ferite da un mondo troppo stretto per contenerle e incasellarle in un ruolo già previsto.

Se andiamo un pochino oltre l'apparente vaneggiamento squinternato che emerge a una prima lettura di ciò che scrivono, si intravvede un universo singolare. E interessante a mio avviso. Vero e incredibilmente vivo.

Il segreto, secondo me, è nel sospendere il giudizio per scoprire il cuore, l'anima scomposta di una donna o di un uomo di strada che forse vede certe incoerenze dei cosiddetti normali, meglio di noi "ben pensanti".

Sospendere il giudizio.

E se lo facessimo anche con tutti gli altri? Coi colleghi, coi condomini, con quei parenti che ci stanno proprio sulle balle…

Con chi non capiamo, chi ci urta...

Forse saremo tutti un po' meno soli e il cuore, finalmente, troverebbe pace.

venerdì 8 agosto 2025

Quei momenti veri in cui non servono notifiche

Sul tavolo solo le carte da gioco, ordinate con cura per una partita a pinnacolo. Un mazzo coperto da cui pescare e una pila di scarti in un angolo. Davanti a noi — padre e figlia — una distesa di tris e scale: i nostri preziosi “pinnacoli”, piccoli bottini con cui ci sfidiamo a colpi di strategia e fortuna.

A raccontare la partita, un blocco rigorosamente cartaceo: il punteggio parla chiaro. La generazione Z trionfa sulla X.  "Ecco!" - cinguetta la figlia ventenne intanto che impila l'ennesima scala con tanto di jolly doppio, aggravando la mia situazione già precaria.

Mentre arranco con i miei 525 punti lei, con i suoi 890 fischiotti, mi guarda di sbiego sorridendo con aria trionfante. Sogghigna. Mi provoca. Mi sbeffeggia con la tenerezza di chi sa di averla vinta — per ora. Ma io non mollo. Studio le mosse, cerco spiragli, resto in partita con l’unico obiettivo: uscirne con un po’ di onore... o almeno con una buona scusa.

I cellulari? In un’altra stanza. Dimenticati. Perché in certi momenti, quelli veri, non servono notifiche, messaggi o schermi. Bastano delle carte, due risate, uno sguardo complice… e il tempo che si ferma, insieme.

Ogni tanto, spegnere tutto è il regalo più bello che possiamo fare a chi amiamo. Le connessioni più autentiche non hanno bisogno di Wi-Fi.

Spoiler: il "boomerone" anzi, il gen-x ha vinto. Per una manciata di punti. Ma il vero tesoretto lo ha vinto la serata: zero notifiche, cento risate e prese in giro. I cellulari? Ancora in un’altra stanza. E noi, a letto con il sorriso.

mercoledì 6 agosto 2025

Un filtro sporco, che nessuno ci ha insegnato a pulire

Non ci sono nato. Con le notifiche intendo. E con quell’imperativo silenzioso che ti spinge a controllare il telefono per messaggi, social, e-mail, lavoro, svago, informazioni, prenotazioni, acquisti… E ancora notifiche, notifiche, notifiche.

Ma quando è cominciato tutto?

Era l’autunno del 2009. A casa di amici mi pavoneggiavo con le e-mail sempre a portata di mano, grazie al mio fiammante BlackBerry Curve 8520 — quello col tastierino qwerty, per intenderci.

“Io le ricevo con la notifica push, mica devo andarle a scaricare...” dicevo, ignaro del piano inclinato su cui già mi ero adagiato. E su cui, lentamente, cominciavo a scivolare. Come una pelle d’orso. Morta.

Pochi mesi dopo, mio padre — più tecnologico di me, da sempre — mi parlava entusiasta di un’app che permetteva di messaggiare gratis con qualsiasi smartphone. Non solo tra quelli che avevano tanti tastini e il logo con la mora.

Il mese successivo, sul mio telefono c’erano le app di Facebook e Twitter che bippavano ogni due per tre.
Bevevo il caffè, ma avevo smesso di parlare col barista e con i soliti volti familiari.
Ero già disconnesso, rapito dallo scrolling compulsivo.

Era una novità. E io non facevo nulla per fermarla.
Anzi, mi sentivo moderno, aggiornato, in linea coi tempi, figo.
Ma anche… stanco.
E sotto sotto lo sapevo: qualcosa stonava.

Sono passati quasi quindici anni, ma quella sensazione di stress, di sovraccarico di informazioni, è ancora lì. Viva.
E il mio cervello si sentiva come un filtro sporco.

Non è mai passata.
Ho solo imparato a conviverci.
Ho fatto l’abitudine alla sovrastimolazione.
A contenere un filtro sporco, senza mai chiedermi davvero come pulirlo. O cambiarlo.

Non ti dico di spegnere tutto da un giorno all’altro, come ho fatto io (anche se, lo ammetto, è stato liberante).
Ma non ti capita mai, ogni tanto, di sentire il bisogno di una vacanza da quella cascata costante di bit che ti piove nella testa, ogni singolo giorno?

lunedì 4 agosto 2025

Un angolo da amare anche quando il mondo non ti vede

Tra le tante anime invisibili che orbitano attorno al Cupolone, c’è una donna che dorme sulla rampa disabili di Santa Maria in Traspontina.

È come se un committente anch’egli invisibile — forse annidato nella sua testa, nel cuore, o chissà dove — le avesse affidato una missione silenziosa: mantenere sempre fresco un piccolo omaggio floreale in un punto preciso della facciata della chiesa.

Ogni mattina, con la dedizione meticolosa di una vedova che lucida la lapide dell’amato, lei cura quell’angolo con una grazia ostinata.

Pulisce, rassetta, lava, risciacqua. E soprattutto, fa in modo che non manchino mai dei mazzolini di fiori freschi. Mai. Dove li prende se sta sempre lì?

Quando ritiene che sia tutto a posto, allarga il suo raggio d’azione: raccoglie lattine, bottiglie, resti lasciati dai pellegrini che, alleggeriti nello spirito, hanno abbandonato anche il rispetto.

Ed ecco che nasce un pensiero. 

Le donne, anche quando sono ferite al punto da non riuscire più a prendersi cura di sé, conservano comunque un angolo da accudire, da amare.

Questa invisibile, scesa dalla giostra della società per chissà quale indicibile dolore, continua a tenere in piedi quel pezzettino di mondo che, un quadratino alla volta, riesce a trasformare in "casa".

Nessun post, nessun like. Solo un gesto ripetuto, ogni giorno, che dà senso a un angolo dimenticato.

E se il senso di tutto fosse nello scegliere un angolo, piccolo ma nostro, da custodire con amore contro il disordine del mondo?

sabato 2 agosto 2025

L'uomo che disse no all'Apocalisse

È il 26 settembre 1983. Il Colonnello Stanislav Petrov, ufficiale dell’Armata Sovietica, è di turno al centro di comando incaricato di monitorare i dati inviati dai satelliti spia.

Il suo compito è chiaro: in caso di attacco, deve segnalare immediatamente l’allerta ai superiori, che avrebbero risposto con un contrattacco nucleare.

Alle 00:14, il sistema rileva qualcosa di agghiacciante: un missile balistico intercontinentale lanciato dal Montana (USA) e diretto verso l’URSS. Poi altri quattro. Tutti con la stessa traiettoria.

Petrov guarda i dati. Sa cosa dovrebbe fare. Ma non lo fa. Non si fida del sistema satellitare.

Più tardi racconterà: "Ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore, me lo diceva la mia intuizione." E aggiunge: "Forse ho deciso così perché ero l’unico ad avere una formazione civile."

Petrov non trasmette l’allarme ai suoi superiori. E con quella decisione, salva il pianeta.

Ora chiediti: e se al suo posto ci fosse stato un militare addestrato a obbedire senza discutere? O peggio ancora… un’intelligenza artificiale?

Oggi sei vivo anche grazie al Colonnello Stanislav Petrov. Alla sua coscienza. Alla sua capacità di leggere la complessità, di interpretare i dati, di dar retta a quel quid impalpabile che viene chiamato in tanti modi (intuito, spirito...), che non si può misurare, ma che ha dato prova di poter salvare l'umanità.

Speriamo (e preghiamo se abbiamo fede) che i "Petrov" di oggi sappiano trovare dentro di sé quello stesso discernimento e coraggio, per evitare che un errore possa trasformarsi in una catastrofe senza ritorno.

venerdì 1 agosto 2025

Effatà: il messaggio che non ti aspetti sul silenzio digitale

📱 “Iperconnessi ma isolati”: più o meno così Papa Leone, mercoledì scorso, ha aperto l’udienza generale con una riflessione potente e attualissima sui social media.

Le sue parole arrivano dritte al punto:

"Viviamo in una società che si sta ammalando a causa di una “bulimia” delle connessioni dei social media: siamo iperconnessi, bombardati da immagini, talvolta anche false o distorte. Siamo travolti da molteplici messaggi che suscitano in noi una tempesta di emozioni contraddittorie..."

In questo caos digitale, cresce il desiderio di spegnere tutto, di chiudersi nel silenzio. Ma il rischio è di perdere anche il contatto con chi ci è vicino:

"Anche le nostre parole rischiano di essere fraintese e possiamo essere tentati di chiuderci nel silenzio, in una incomunicabilità dove, per quanto vicini, non riusciamo più a dirci le cose più semplici e profonde."

💡 E qui il Papa propone un’alternativa. Racconta di Gesù che si avvicina a un uomo muto. Non parla subito. Prima lo incontra, lo incontra davvero, lo tocca, lo ascolta.

"Gli offre prima di tutto una prossimità silenziosa, attraverso gesti che parlano di un incontro profondo: tocca le orecchie e la lingua di quest’uomo" e poi dice: "Effatà!" – Apriti.

Ecco il messaggio forte:

«Apriti a questo mondo che ti spaventa! Apriti alle relazioni che ti hanno deluso! Apriti alla vita che hai rinunciato ad affrontare!»
Perché chiudersi, in fondo, non è mai una vera soluzione.

🎧 Se il cellulare e i social ci stanno togliendo tempo, emozioni e incontri reali, trasformandoci in scrollatori seriali, forse è il momento di fare un passo indietro.

Non per sparire. Ma per riaprire il cuore. Alle persone, alla realtà, a Dio — se ci credi.

Perché siamo sempre connessi, ma ci incontriamo sempre meno.

🔌 E se andassimo contro corrente provando a... scollegarci un po’ per incontrarci davvero?

-§-§-§-

P.S. Qualunque sia il tuo credo, che rispetto, queste parole mi sono sembrate troppo vere per non condividerle.
📄 Fonte: https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/audiences/2025/documents/20250730-udienza-generale.html