In questi giorni si parla tanto di business dell'odio.
Non voglio entrare nelle polemiche politiche ma non posso non condividere le riflessioni che questo, chiamiamolo dibattito, sta suscitando in me.
Online pare che prevalgano solo reazioni di pancia, indignazioni aspre, insulti gratuiti, etichette offensive affibbiate in un contesto in cui l'ascolto, il dibattito e il confronto anche su posizioni del tutto opposte sembrano scomparsi completamente.
E il problema è che queste tendenze sono ormai così diffuse e radicate da travalicare la rete, generando quei fatti di cronaca violenta che i media ci raccontano ogni giorno.
Sfogliando qualche libro e approfondendo la questione, ho trovato dichiarazioni chiare, provenienti da fonti certe, che spiegano dove tutto questo è nato e perché.
Frances Haugen, che per anni è stata una specialista in algoritmi per Google, Pinterest e altre piattaforme, ora afferma con coraggio:
«I miei documenti mostrano che gli algoritmi basati sull’engagement promuovono contenuti estremi, divisivi e di polarizzazione — perché generano più tempo passato sulla piattaforma e quindi più introiti per Facebook.»
In questa affermazione è ancora più netta:
«Facebook ha messo in piedi un sistema di incentivi che spinge le persone a produrre contenuti arrabbiati, polarizzanti, divisivi, perché ottengono più distribuzione.»
Si potrebbe liquidare tutto come il risentimento di un’ex dipendente scontenta che si toglie qualche sassolino dalla scarpa? Forse. Ma vale la pena considerare anche le parole di Sean Parker, cofondatore di Napster e primo presidente di Facebook, rilasciate a noti giornalisti statunitensi:
«Il pensiero che ha guidato la creazione di queste applicazioni, Facebook essendo la prima, era: "Come possiamo consumare il più possibile del tuo tempo e della tua attenzione conscia?"» (In un'intervista di Mike Allen — Axios, 2017)
«È un loop di feedback di validazione sociale... esattamente il tipo di cosa che un hacker come me avrebbe creato, perché stai sfruttando una vulnerabilità nella psicologia umana.» — The Guardian, 2017
«Gli inventori — io, Mark [Zuckerberg], Kevin Systrom su Instagram, tutte queste persone — lo sapevano consapevolmente. E l'abbiamo fatto comunque.» — CBS News, 2017
Se chi ha creato queste piattaforme ammette che i loro algoritmi premiano rabbia, indignazione e polarizzazione (quindi l'odio) per fare soldi, allora forse è il momento di chiedersi: quanto della nostra attenzione vogliamo mettere gratuitamente al servizio dell'odio e del loro guadagno?
Ci sei dentro anche tu, anche se passi ore a scrollare cani adorabili, hobby innocui, ricette gustose e influencer alla moda. Indipendentemente dall'uso, è lo strumento che è stato creato per sfruttare l'odio e guadagnarci sopra.
Ridurre l’uso dei social — o abbandonarli del tutto, come ho fatto io — non significa isolarsi, ma riprendere il contatto con la propria mente e con le proprie emozioni.
Solo così potremo allentare la morsa della polarizzazione, dell’indignazione e dell’odio, non solo online, ma anche nelle news, nelle strade e nella politica.