"Immaginate di essere caduti in un sonno profondo il 28 giugno 2007, il giorno dopo l'uscita dell'iPhone.
Come Rip Van Winkle, il protagonista di un racconto di Washington Irving del 1819, vi svegliate dieci anni dopo e vi guardate attorno.
L'ambiente fisico vi sembra in linea di massima lo stesso, ma le persone si comportano in modo strano. Quasi tutti stringono in mano un rettangolino di vetro e metallo e, non appena si fermano, si chinano a guardarlo.
Lo fanno anche quando sono seduti in treno, entrano in ascensore o stanno in fila. Nei luoghi pubblici regna un silenzio innaturale: persino i bambini piccoli stanno zitti, ammaliati da quei rettangoli.
Quando si sente la voce di qualcuno, di solito sembra che parli da solo, con un paio di auricolari bianchi alle orecchie." (Honathan Haidt, La generazione ansiosa, Rizzoli, pag. 63)
Quel libro, uscito appena un anno fa, ci invita a un gioco di immaginazione. Io mi chiedo: cosa direbbe oggi - 25/8/25 - quel povero dormiente se si risvegliasse e vedesse quello che ho visto io negli ultimi giorni?
Un ciclista contromano, rapito dal suo rettangolino magico, ha rialzato gli occhi solo alla seconda robusta botta di clacson che gli ha evitato un frontale da manuale. Il tempo di sollevare lo sguardo per rendersene conto e, già era tornato a fissare lo schermo. Evidentemente, morire in carne e ossa è un rischio minore che perdere un reel su TikTok.
La scena migliore, però, l’ho vista al centro commerciale più grande di Roma. Ero ai bagni – mi perdonino le signore la scivolata di gusto – con una fila di uomini, immobili, faccia al muro e aria un po' stupida, impegnati nella più banale delle faccende. Tutti, tranne tre. Si, tre. Questi - tutti sotto ai trent'anni - con la mano libera, sfogliavano distrattamente lo smartphone. Come se non fossero in bagno, ma in attesa del tram.
Come ha scritto nel 2015 Sherry Turkle, professoressa al MIT, "con gli smartphone siamo sempre altrove".
Sempre altrove: forse è per questo che sembriamo così idioti anche qui.
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