È passato più di un mese e mezzo da quando ho abbandonato i social e vivo con il cellulare della nonna di Cappuccetto Rosso. Una piccola reliquia, che suona solo quando serve, e tace volentieri.
Me ne sono accorto oggi, della libertà guadagnata. Mi sono affacciato al balcone e lo sguardo si è perso tra le curve morbide dei campi, che ondeggiavano lievi come fossero seta.
Non ho avuto l’istinto di scattare una foto. Mi sono perso lì, permettendo a ciò che vedevo, sentivo, annusavo, di toccarmi per davvero.
La bolla africana ha ceduto il passo al ponentino, tornato a soffiare piano, con pudore, come chi rientra a casa dopo lunga assenza. Quanto è bello sentirlo di nuovo sulla faccia e sulle braccia.
E contemplare il paesaggio è tornato ad avere senso. Dopo quasi vent’anni che vivo qui, ancora non riesco ad abituarmi a tanta bellezza.
Le balle di fieno, arrotolate dalla fatica paziente del contadino, punteggiano metà campo come pianeti su un tappeto d’erba. Gli alberi, da qui, sembrano ciuffi di prezzemolo che si lasciano cullare dal vento.
Il cielo è sgombro. Nessun aereo a graffiarlo, nessuna rotta da e per Fiumicino. Solo nuvole bianche, leggère come pensieri che risorgono liberi, non più soggiogati da immagini scelte da altri, che scorrono su un minischermo.
In fondo, forse, basta questo: una domenica pigra, un campo, un vento buono, e il silenzio che finalmente ho reimparato ad ascoltare.