Adesso che il prezzo del caffè sale, tutti si lamentano. Eppure è da tempo che i numeri crescono silenziosi, che i prezzi lievitano, e noi con loro — a contare, a togliere, a fare spazio.
C’è chi, come me, ha la fortuna di un posto fisso, ma sente comunque il bisogno di ridimensionare le spese. E poi ci sono gli altri — tanti, sempre di più — amici, volti cari, che vivono la sfida della terza settimana, non più della quarta.
Ognuno reagisce con ciò che ha: chi risparmia, chi rinuncia, chi si lamenta. E poi ci sono quelli che non ce la fanno, che si lasciano cadere nel buio, o compiono gesti da cui non si torna.
Sento che ci stiamo avvicinando, passo dopo passo, a un tempo che somiglia a quello dei nostri nonni. Non c’è guerra - non ancora per lo meno - ma c’è la stessa fatica, la stessa incertezza. Con una differenza: loro avevano gli altri. Noi, invece, siamo diventati più soli, più chiusi, dissipati in schermi che sono fatti per connettere ma che dividono.
Da quando ho saputo che un caro amico ha perso il lavoro, quel pensiero non mi abbandona. Come sempre, quando l’inquietudine mi visita, mi rivolgo a Dio. Ho aperto la Bibbia, e la risposta è arrivata come un respiro conosciuto:
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15)
A quelle parole il mio pensiero è ruzzolato all'indietro di sessant'anni, ai racconti delle mie nonne. A quando la solidarietà non si diceva, si faceva. A quando, pur stando peggio, si trovava sempre un modo per volersi bene.
Rivedo Antonia, mia nonna materna, classe 1916. Non era una gran cuoca, né una santa, ma la pasta la tirava a mano, e ci metteva sempre due uova in più. Servivano a riempire un piatto per la signora del piano di sotto, che non arrivava a fine mese.
Rivedo Fernanda, la nonna paterna, nata nel 1907, pantalonaia, la stessa voce asciutta e dolce della Sora Lella. Quanto mi manca! Per la sua amica ebrea Letizia, fiaccata dalle leggi razziali e dalla guerra, cuciva senza chiedere nulla.
E quei pochi soldi guadagnati la notte, cucendo orli a lume di lampada, li infilava nelle tasche dei pantaloni che restituiva a Letizia e a suo marito Settimio.
E poi c’è Bruna, la nonna di mia moglie. Consapevole del privilegio di fare le pulizie in casa di un ministro, imparò da sola ad andare in bicicletta per attraversare Roma e condividere quel litro d’olio o quel sacco di farina in più, coi parenti in difficoltà.
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15)
Non è forse questo ciò che fecero i nostri nonni? Non è forse questo, ancora oggi, il modo più vero per resistere, per affrontare la crisi che ci logora e che non possiamo controllare?
Forse la risposta non è solo nei numeri, nei tagli, nei bilanci o in una schermata di Gemini o ChatGPT. Forse la strada più autentica è tornare lì, dove tutto si teneva in piedi grazie a un gesto semplice: un piatto condiviso, un piccolo sacrificio, un atto d’amore.