Con l'età ho capito che una delle cose più sensate sia entrare in relazione con l'altro. Incontrarsi. Incontrarsi per riconoscere chi è come te ma anche per lasciarsi sorprendere da chi non ti somiglia affatto.
Conoscere per conoscersi. E conoscersi per conoscere. È questa l’avventura dell’esistenza: quando la vivi così, la vita prende senso. E non annoia mai.
Poi mi guardo attorno e vedo vicini che non rispondono al saluto, colleghi che si denigrano via chat ma non si dicono più nulla, giovanotti che una volta si vantavano spavaldi dell'ultima conquista e che ora si isolano con lo schermo negli occhi e gli auricolari nelle orecchie.
E' la solitudine il cancro dell'uomo di oggi. E non è un rischio: ci siamo già dentro. Fino al collo. Tutti.
Quanti incontri abortiti nell'inutile flusso di immagini che ci tiene incollati al cellulare sin dal mattino… E il cuore resta, solo, assetato di attenzioni.
Quante relazioni mancate, interrotte, procrastinate per un like impellente ma vuoto? Finiscono nello scarico dell'algoritmo e collassano nell'urlo silenzioso dell'adolescente che si isola o del giovane borgataro che accoltella un coetaneo per uno sguardo di troppo.
Esagero? Forse, ma noi, fatti per incontrarci e conoscerci, ci siamo chiusi in una gabbia monoposto che ce lo impedisce.
Ti svelo un segreto. Queste gabbie si aprono dall'interno. Basta un gesto.
Un gesto semplice, come lasciare il telefono a casa per un paio d’ore. Uscire a fare due passi. Sedersi al bar con un libro o un giornale, guardarsi intorno ogni tanto. E aprirsi a ciò che accade.
"Ricordate: nessun algoritmo potrà mai sostituire un abbraccio, uno sguardo, un vero incontro, né con Dio, né con i nostri amici, né con la nostra famiglia." (Messaggio di Papa Leone ai partecipanti del festival di giovani a Medjugorje)
A volte basta un'oretta senza notifiche per tornare a sentire il cuore.
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