Sono fuori col cane, squilla il telefono.
Dopo anni risento la voce serena e vivace di suor Adalberta, classe 1940, ex maestra elementare di mia figlia, oggi ventenne. Mi chiama per ringraziarmi del messaggio che le avevo inviato per la solennità dell’Assunzione.
Mi viene in mente mia suocera, sua coetanea. Ogni volta che le mando un pensiero o un’immagine via WhatsApp, o che guarda uno stato che le piace, lei mi richiama. Per dirmi che le è piaciuto o per condividere un pensiero. E, come sempre, da una parola nasce una chiacchiera, e si finisce col dirci un sacco di altre cose.
Noi – figli dell’epoca dei social – non sappiamo più farci toccare da ciò che leggiamo. I nostri figli forse, non lo hanno mai imparato...
Un messaggio, una foto, un post: scorrono via. Ma loro no. Quelle donne di ottantacinque anni si emozionano ancora, profondamente, di fronte a una frase, un’immagine, un pensiero.
Non solo loro. Anche Franco, il migliore amico di mio padre, quando qualcosa che scrivo lo tocca, mi chiama. Non lascia un like: alza il telefono e parla, di tutto, ed è sempre un piacere.
Non è meraviglioso? Sono persone "ricche di anni" – come direbbe la saggia suora – che trovano ancora bellezza e vita in poche parole. E comunicano davvero, non rimandano distratti da troppe immagini che scorrono e corrono via.
Per noi che viviamo in un flusso continuo di video, meme e immagini, tutto vale tutto e niente vale davvero. Un post senza foto? Neanche lo guardiamo. Una frase? Non ci tocca più. Passiamo alla successiva... E scorri, scorri, scorri...
In due generazioni abbiamo perso la capacità di emozionarci con la semplicità di una parola o di uno scatto. Ma forse i nostri anziani, con la loro voce piena e senza fretta, possono ancora svegliare i nostri cuori addormentati.
E se una via d'uscita da questa desolazione relazionale fosse recuperare la connessione coi nostri vecchi?
Nessun commento:
Posta un commento