martedì 30 settembre 2025

Ho la soluzione (ma non vi piacerà)

Consueta passeggiata mattutina prima del lavoro.

Ancora mezzo addormentato e immerso nei pensieri, sobbalzo quando un monopattino mi sfreccia a pochi millimetri dal gomito e dal muro.

«Oh!» mi scappa istintivo.

«Ma che vuoi? Abito qui!» ribatte un cinquantenne con occhiali firmati,  in giacca e cravatta, ma decisamente male equipaggiato in fatto di educazione.

«E quindi? Ti legittima forse a passare sul marciapiede rischiando di investire un pedone?»

La risposta che mi lascia entrando nel portone non la riporto per decenza, ma una certezza ce l’ho: oltre che maleducato, quel tizio, ancorché trendy era del tutto inadeguato a usare un monopattino.

Ed ecco il punto. Hanno messo in circolazione mezzi potenzialmente pericolosi, senza regole né patente. Il risultato? Ogni giorno troppi feriti e, purtroppo, anche qualche morto.

È la stessa storia successa con internet sul cellulare. Abbiamo consegnato uno strumento di comunicazione potente ma potenzialmente pericoloso per noi e per gli altri, senza regole né licenze né formazione. E oggi ci troviamo con la generazione più fragile mai esistita.

E ci stiamo ricascando con l’Intelligenza Artificiale.

La soluzione? Una sola: una licenza, una sorta di patente da conseguire con un’adeguata preparazione, non prima dei sedici anni.

Solo così i ragazzi non verrebbero privati di ciò che rende sana l’infanzia: gioco fisico, libertà, contatto reale, esplorazione.

Lo psicologo Jonathan Haidt, nel suo libro "La generazione ansiosa", lo dice chiaramente: ciò che prima era esperienza reale – gioco spontaneo, rischio, esplorazione, contatto fisico, avventura – è stato sostituito da schermi e presenza virtuale costante.

Schermi che hanno rubato le esperienze più belle dell'infanzia e dell'adolescenza dei nostri figli. Ditemi che non è vero...

E gli effetti si vedono: dal 2011 in poi ansia e depressione sono esplosi, così come disturbi del sonno, attenzione frammentata, dipendenze, isolamento sociale e molto altro. Una fragilità generalizzata, un indebolimento diffuso dimostrati da ricerche e dati (se volete approfondire cliccate👉 qui ).

Allora vi chiedo: vi sembra ancora così astrusa l’idea di una patente per cellulari e Intelligenza Artificiale?

sabato 27 settembre 2025

In realtà stai cercando qualcosa. Chiediti cosa

Padre Giuseppe, un anziano francescano viterbese, è stato una figura decisiva nell’indirizzare la mia giovinezza verso il bene.

Alcuni dei suoi consigli, tanto semplici quanto vitali, continuano ancora oggi a ronzarmi nella mente. E, meno male, aggiungerei.

Ricordo bene un giorno in cui mi parlò della necessità di prestare attenzione a ciò che guardiamo, perché ogni immagine nutre la nostra anima.

"Un tramonto, un bambino che gioca, un quadro, gli occhi della donna o dell'uomo amati – mi diceva padre Giuseppe – ma anche una scena violenta, un nudo sfacciato o, peggio ancora, quell'uso e abuso stolto e consensuale del corpo altrui che viene chiamato pornografia, passano dagli occhi alla mente.

"Anche se a te non sembra – continuava il buon francescano – ogni immagine si fissa nella memoria e prima o poi la fantasia, la 'pazzerella' che risiede nella tua testa, andrà a pescare proprio lì per inventarsi qualcosa. Non è male, è nella sua natura."

E aggiungeva: "Nella memoria, la 'pazzerella' prenderà ciò che trova, quello che noi abbiamo permesso di entrare con la nostra libertà, e comincerà a inventarsi di tutto.

E, a seconda di come ti sarai nutrito, dalla tua mente nasceranno pensieri di pace, di gioia, di amore, azioni creative e progetti significativi oppure pensieri di angoscia, di disagio, pensieri distruttivi e azioni tanto quanto…"

Mi invitava a custodire lo sguardo con amore e rispetto, verso me stesso e verso gli altri, in particolare verso le donne. "Scegli bene ciò che guardi e come lo guardi se vuoi vivere nella pace!"

Questi consigli sono stati per me un nutrimento essenziale. Nella misura in cui li ho accolti e vissuti con coerenza, mi hanno reso un uomo sereno, forte, in pace. Persino felice. Quando sono riuscito a viverli hanno corretto e armonizzato le mie inclinazioni peggiori – quelle che, in un modo o nell’altro, portiamo tutti dentro – e di questo sarò sempre grato a padre Giuseppe.

Ma veniamo a oggi.

Non c’è più un buon padre Giuseppe che ci ricorda di vigilare sullo sguardo, che sia vago o insistente. Eppure, qualunque scusa possiamo inventare, resta una verità: tutte le immagini che assorbiamo senza difese si fissano nella memoria. Alla "pazzerella" che abita la nostra mente sembrerà di vivere in un tesoro inesauribile, felice come una formica in un barattolo di zucchero.

Ma anche traboccante di strumenti per produrre in noi grandi pasticci.

Oggi, soprattutto sui social, le immagini non sono casuali: vengono scelte da un algoritmo che si nutre di ciò che attira istintivamente il nostro sguardo. Così, invece di educare e incanalare le debolezze dell’animo umano – che tutti abbiamo, anche i figli più buoni e obbedienti – queste vengono favorite e amplificate fino a farci sfuggire la cosa di mano.

E allora pensiamoci, quando vediamo i nostri giovani infelici, isolati, o addirittura intrappolati in situazioni più grandi di loro, che forse gran parte di colpa è nel non aver insegnato loro a custodire lo sguardo.

Quanto sarebbe rivoluzionario scegliere di farlo cominciando a dire qualche no?

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P.S. Dopo aver finito il post mi è venuto in mente un altro consiglio di Padre Giuseppe. "Quando sei in giro vaghi con lo sguardo, ti sembra che non stai cercando niente. In realtà, che te ne accorga o meno, stai cercando qualcosa. Chiediti cosa."

Oggi potrei sostituire quel "quando sei in giro" con - quando scrolli un'immagine dietro l'altra per ore... ti sembra che non stai cercando niente; in realtà, che te ne accorga o meno, stai cercando qualcosa. Chiediti cosa.

giovedì 25 settembre 2025

Il fascino del tempo che gli altri chiamano brutto

"Che tempo fa?" – "È brutto!"

L’ho sentito dire piu volte ultimamente, eppure non sono d’accordo. A me piace.

Mi sono piaciute le ultime giornate piovose, così come quel freschetto mattutino che mi ha spinto a tirare fuori dall’armadio un giacchetto che non indossavo da aprile.

Il tempo, in realtà, non è né bello né brutto: è il nostro sguardo, il nostro stato d’animo, a definirlo.

E poi, abbiamo a disposizione mille termini per descriverlo, ma “brutto” – almeno quando non fa danni – non è mai quello che userei per una giornata uggiosa come quella di ieri.

Mi piace l'espressione “tempo da lupi”, per esempio: racchiude in sé pioggerella fitta, freddo pungente, alberi spettinati dal vento e la voglia di rintanarsi, abbozzolarsi in una coperta e osservare tutto quel movimento dalla finestra.

Mi affascina anche la parola “acquazzone”. Non mi spaventa; anzi, evoca un energico lavaggio generale che porta via strati di sporcizia cittadina accumulati nei mesi.

Se non fosse chiaro, adoro la pioggia. Mi ha incantato l’arcobaleno a tutto sesto di ieri, poco prima del tramonto, che ha squarciato il cielo per due minuti, per poi scomparire come se nulla fosse.

E tutto questo mio godermi il tempo è stato possibile grazie al silenzio che ho scelto: tre mesi abbondanti senza social, poche notifiche e tanto spazio per osservare, ascoltare, vivere. C’è chi lo chiama minimalismo digitale; io lo chiamo libertà riconquistata. E non vi rinuncerei nemmeno se mi pagassero bene per riaprire i miei account social.

Senza il rumore costante del mondo digitale, ogni goccia, ogni soffio di vento, ogni arcobaleno fugace diventa un piccolo miracolo, intatto e personale, che non ha bisogno di like perché basta a se stesso, che non sente più l'urgenza di essere fotografato e postato e che nessuno può cancellare o misurare se non io.

lunedì 22 settembre 2025

Il business dell’odio: chi guadagna mentre ci arrabbiamo online

In questi giorni si parla tanto di business dell'odio.

Non voglio entrare nelle polemiche politiche ma non posso non condividere le riflessioni che questo, chiamiamolo dibattito, sta suscitando in me.

Online pare che prevalgano solo reazioni di pancia, indignazioni aspre, insulti gratuiti, etichette offensive affibbiate in un contesto in cui l'ascolto, il dibattito e il confronto anche su posizioni del tutto opposte sembrano scomparsi completamente.

E il problema è che queste tendenze sono ormai così diffuse e radicate da travalicare la rete, generando quei fatti di cronaca violenta che i media ci raccontano ogni giorno.

Sfogliando qualche libro e approfondendo la questione, ho trovato dichiarazioni chiare, provenienti da fonti certe, che spiegano dove tutto questo è nato e perché.

Frances Haugen, che per anni è stata una specialista in algoritmi per Google, Pinterest e altre piattaforme, ora afferma con coraggio:

«I miei documenti mostrano che gli algoritmi basati sull’engagement promuovono contenuti estremi, divisivi e di polarizzazione — perché generano più tempo passato sulla piattaforma e quindi più introiti per Facebook.»

In questa affermazione è ancora più netta:

«Facebook ha messo in piedi un sistema di incentivi che spinge le persone a produrre contenuti arrabbiati, polarizzanti, divisivi, perché ottengono più distribuzione.»

Si potrebbe liquidare tutto come il risentimento di un’ex dipendente scontenta che si toglie qualche sassolino dalla scarpa? Forse. Ma vale la pena considerare anche le parole di Sean Parker, cofondatore di Napster e primo presidente di Facebook, rilasciate a noti giornalisti statunitensi:

«Il pensiero che ha guidato la creazione di queste applicazioni, Facebook essendo la prima, era: "Come possiamo consumare il più possibile del tuo tempo e della tua attenzione conscia?"» (In un'intervista di Mike Allen — Axios, 2017)

«È un loop di feedback di validazione sociale... esattamente il tipo di cosa che un hacker come me avrebbe creato, perché stai sfruttando una vulnerabilità nella psicologia umana.» — The Guardian, 2017

«Gli inventori — io, Mark [Zuckerberg], Kevin Systrom su Instagram, tutte queste persone — lo sapevano consapevolmente. E l'abbiamo fatto comunque — CBS News, 2017

Se chi ha creato queste piattaforme ammette che i loro algoritmi premiano rabbia, indignazione e polarizzazione (quindi l'odio) per fare soldi, allora forse è il momento di chiedersi: quanto della nostra attenzione vogliamo mettere gratuitamente al servizio dell'odio e del loro guadagno?

Ci sei dentro anche tu, anche se passi ore a scrollare cani adorabili, hobby innocui, ricette gustose e influencer alla moda. Indipendentemente dall'uso, è lo strumento che è stato creato per sfruttare l'odio e guadagnarci sopra.

Ridurre l’uso dei social — o abbandonarli del tutto, come ho fatto io — non significa isolarsi, ma riprendere il contatto con la propria mente e con le proprie emozioni.

Solo così potremo allentare la morsa della polarizzazione, dell’indignazione e dell’odio, non solo online, ma anche nelle news, nelle strade e nella politica.


sabato 20 settembre 2025

Tavole ribelli, viti sbilenche e io che non mi arrendo

Negli ultimi quattro giorni ho compiuto un’impresa titanica, paragonabile solo alla traversata di Annibale con gli elefanti: ho montato un armadio comprato online da mia moglie.

Chiariamo: io e i lavori manuali siamo due rette parallele. Non ci incontriamo mai. Li detesto, non li so fare e, potendo, li delegherei persino al mio Snoopy, se solo avesse le mani.

Forse perché in gioventù la mia famiglia non perdeva occasione per farmi sentire una specie di menomato: “L’uomo deve saper fare i lavori di casa! Tu invece...”.

Io invece ero più il tipo: "L'uomo deve saper essere fedele, leale, avere il coraggio di stare dalla parte giusta e affrontare la vita a testa alta difendendo chi ama"... Papà mi porgeva un avvitatore e io lo posavo per aprire un libro e sprofondarmici dentro per ore...

Ma stavolta ho accettato la sfida. L’armadio era lì, in 853 pezzi numerati male, e rappresentati peggio da illustrazioni degne delle incisioni rupestri di Lescaux.

Le poche parole erano in polacco. Giuro! E non aggiungo altro.

Dopo quattro giorni di brontolii e di minacce di rispedire il mobile al mittente, dopo aver lottato con viti sbilenche, tavole ribelli e brugole sadiche, il miracolo è avvenuto: l’armadio è in piedi. Più o meno... (Quello che svetta nella foto con Snoopy che teme di essere coinvolto nel montaggio, è proprio lui).

La ferramenta avanzata (😒) mi insinua il leggero sospetto che forse, a livello statico qualcosa non è proprio come l'ha pensata il progettista e che prima o poi si accascerà su un fianco come un domino dopo la prima spinta.

Ma lui sta là, resistendo pure alle cose con cui mia moglie - donna ottimista e fiduciosa (quanto la amo...) - lo ha riempito.

E io, sudato, stremato, con la schiena dolorante e pure un paio di lividi, ho provato una sensazione nuova: soddisfazione.

Insomma, non diventerò mai Manny Tuttofare ma oggi ho conquistato la mia piccola epopea domestica e... l'armadio è ancora in piedi. Io un po' meno...

giovedì 18 settembre 2025

"Con la stessa forza…" per la dignità di ogni vita

La violenza è sempre un fallimento, in tutte le sue forme. Dalla vigliaccheria di un insulto online alla brutalità di un pugno, dall’eco di un urlo fino all’orrore di un omicidio.

Anche quando si traveste di rosso o di nero, di estremismi opposti, di uniformi, di buone intenzioni o di difesa di una categoria, resta ciò che è: una desolante sconfitta.

Ed è diabolica, perché questo travestimento la rende accettabile agli occhi di molti e genera ancor più divisione.

Oggi nel mondo si consumano violenze estreme, drammatiche, di proporzioni epocali.

Dei conflitti in Myanmar, nella Repubblica Democratica del Congo, in Etiopia, in Sudan, in Burkina Faso, nel Sahel e in Mali pare non accorgersi nessuno, tranne un sant’uomo vestito di bianco che ha il coraggio di parlarne dalla finestra del suo studio.

Al netto di chi tace o si nasconde dietro un comodo silenzio, sul genocidio che si consuma a Gaza e sull’aggressione alla sovranità ucraina ognuno ha un’opinione, e fa bene a esprimerla.

Ma io non riesco a riconoscermi del tutto in nessuna di esse.

Fino a ieri, quando una cara amica mi ha inviato un articolo di Avvenire che parla di una rete di "Preti contro il genocidio".

Cito dall’articolo: "Non parliamo come politici ma come pastori e guide di comunità che credono nel Vangelo e della dignità di ogni vita umana. Non rappresentiamo solo noi stessi, ma anche le comunità affidate alle nostre cure come pastori della Chiesa cattolica. Il nostro messaggio non è contro nessuno, ma a favore della vita e della pace."

E a ribadire che il loro messaggio non è contro nessuno, affermano e rimarcano di nutrire "un profondo apprezzamento per la tradizione giudaica, dalla quale abbiamo ricevuto gli insegnamenti di Gesù e da cui ancora attingiamo grazia e sapienza. Per questo respingiamo ogni possibile accusa di antisemitismo sia nella definizione sia nella sostanza."

Mi ci riconosco in queste parole.

Più avanti c’è la frase più forte: "con la stessa forza con cui condanniamo il massacro del 7 ottobre, gli omicidi e i rapimenti compiuti dai terroristi di Hamas, con la stessa forza condanniamo la risposta sproporzionata, l’uccisione di persone innocenti giustificata come errori involontari, i bombardamenti di Paesi terzi sovrani, i crimini di guerra, la pulizia etnica, l’uso della fame come arma di sterminio e il genocidio perpetrato dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese."

Di fronte a tante voci indignate che gridano l’una contro l’altra prima ancora che a favore di una pace vera, questa mi pare, per ora, l’iniziativa più equilibrata e coerente.

Vedo uomini, pastori, alzarsi a proclamare con forza la dignità sacra di ogni vita. Ogni vita.

Come loro mi schiero, ma non a favore di un'opinione che sventola una qualche bandiera, nemmeno quella della religione che professo con convinzione. Mi schiero a favore della vita e contro ogni violenza.

E forse una cosa la posso fare. Da credente sostenere, pregando, questi barlumi di pace che si accendono in un mondo sempre più buio.

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Qui le fonti dell'articolo.
Qui il sito del Saveriani in cui trovare il testo completo del documento.

martedì 16 settembre 2025

Come la superiamo sta "montagnola"?

Ogni mattina, passeggiando per via della Conciliazione, mi gusto i movimenti dei volontari e dei pellegrini mattinieri che cominciano ad affluire in Basilica per il Giubileo.

Ma sabato scorso l’atmosfera pareva speciale: un viavai febbrile, grandi strutture per fari, telecamere e altoparlanti che dominavano la piazza, come se si stesse preparando un mega concerto.

Curioso come una scimmia, sono andato a informarmi e ho scoperto che Papa Leone avrebbe ospitato la terza edizione del World Meeting on Human Fraternity, l’evento promosso dal Vaticano per incoraggiare fraternità, pace e cooperazione tra culture e religioni diverse.

Prevost non è mai banale e non ho resistito. Sono andato a leggermi le parole del Pontefice ai partecipanti - se vi interessa l'intero discorso cliccate qua - e una frase mi ha colpito profondamente:

"Fratello, sorella, dove sei in una vita iperconnessa, dove la solitudine corrode i legami sociali e ci rende estranei persino a noi stessi?"

Poco dopo, il Papa offre una risposta che fa riflettere:

"La risposta non può essere il silenzio. Tu sei la risposta, con la tua presenza, il tuo impegno e il tuo coraggio. La risposta è scegliere una direzione diversa di vita, di crescita e di sviluppo."

La risposta è scegliere una direzione diversa di vita, di crescita e di sviluppo.

Scegliere una direzione diversa di vita… per essere presenza.

Si vabbè, ma come? E Papa Leone conclude con una frase che riassume il vangelo:  «Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13,34-35)

Ma se stiamo sempre appiccicati a uno schermo come possiamo amarci gli uni gli altri?

Come la superiamo sta "montagnola"?

domenica 14 settembre 2025

Leoni da tastiera o ebetini da tastierino?

Non so se siano peggio i leoni da tastiera o gli ebetini da tastierino 🤔.

I primi commentano di pancia, senza riflessione né rispetto. Polemici e risentiti, attaccano ogni cosa soprattutto perché non hanno capito o contestualizzato ciò che hanno letto.

I secondi, invece, non riescono a staccare lo sguardo dal cellulare proprio quando sarebbe meglio tenerlo in tasca. Te li ritrovi dappertutto: a spolliciare al semaforo, a camminare storditi per strada o — peggio ancora — a guidare distratti.

Stamattina ne ho incrociati due in monopattino: naturalmente senza targa e senza casco, una mano sull’acceleratore e l’altra sullo smartphone. Lo sguardo? Di certo non sulla strada.

Non so se faccia più danni il leone da tastiera o l’ebetino da tastierino. Ma entrambi hanno in comune una cosa: hanno perso la percezione di chi hanno davanti.

Quando mia moglie e io regalammo il primo cellulare a nostra figlia, le facemmo firmare un decalogo. Che poi diventò un “dodecalogo”, firmato e controfirmato da lei e da noi✍️.

Molti di quelli che all’epoca ci dissero che eravamo esagerati, che la volevamo indottrinare, che la limitavamo, negli anni ci hanno chiesto una copia di quelle dodici regole: semplici ma preziose perché pensate per proteggere ma anche custodire l'umanità della nostra ragazza.

Un giorno forse ci scriverò un post. Ma oggi me ne torna alla mente una, che negli anni si è rivelata indispensabile anche per noi:

"Quando scrivi un messaggio fallo come se avessi la persona davanti." 💬

Ed è questa la chiave: la presenza. Perché sia i leoni da tastiera che gli ebetini da tastierino, in fondo, hanno smarrito la capacità di esserci davvero.

Il primo dimentica che dietro ogni parola c’è una persona in carne e ossa che puoi ferire, offendere. Il secondo non si accorge del mondo che gli passa accanto e pure lì sono guai.

Certo, è questione di educazione digitale — che spesso manca e che non forniamo ai nostri ragazzi.

Ma soprattutto è questione di allenare uno sguardo più umano, che non si lasci monopolizzare dallo schermo e non si nasconda dietro la rabbia virtuale.

Quel “dodecalogo” che a molti sembrava un eccesso, oggi è un promemoria di responsabilità: regole pensate per i ragazzi, ma valide per tutti noi che viviamo sospesi tra reale e digitale.

La sfida, alla fine, non è scegliere se siano peggiori i leoni da tastiera o gli ebetini da tastierino. La vera sfida è riuscire a non diventarlo💡.

venerdì 12 settembre 2025

Inside Out dal vivo. La mia passeggiata in 3D

Stamattina, scena già vista: incrocio un conoscente, vorrei salutarlo… ma niente, lo sguardo è inchiodato sul cellulare come se stesse contemplando il sacro Graal.

E invece lui - o meglio, il mio mini-me sarcastico - dentro di me come nel film Inside out esclama già: “Guarda fratè che se continui così fai scopa con un lampione!”

Oppure: “Ma che te stai a guardà un tutorial su come salutà i vecchi amici?”

Ma rimane tutto lì, a fermentare nella mia mente, mentre rimugino sul marciapiede come un minimalista digitale un po' frustrato.

Poi la mia traiettoria incrocia quella di un ragazzotto che, sguardo fisso al suo bellissimo iPhone e pollice scatenato, cammina dritto verso di me, ignaro di tutto. Tre metri di distanza.

"Me piji! Me piji! Me piji!" – mi scappa spontaneo con un mezzo sorriso.

Lui continua imperterrito. Due metri.

"Me piji! Me piji!" – continuo, fintamente allarmato tra i passanti che iniziano a notare la scena e a ridacchiare.

Un metro

"Me piji! Me piji!" - STOONK! - "M'hai preso!"

Risate dei passanti. Lui, invece, mi guarda seccato, per mezzo secondo e se ne va.

Pazienza. Forse la prossima volta, prima di digitare l’ennesimo messaggio, accosterà. O forse no. Ma intanto sono riuscito a dar voce al minimalista dissacrante che è in me. 🎭📱💥

E andiamo!

mercoledì 10 settembre 2025

Uno gnomo felice in un lunedì storto

"A Sandrì, 'ndo te ne vai co' st'andatura da gnomo felice?" - È stato il saluto che ho ricevuto lunedì mattina da una persona che non vedevo da più di un anno.

Ora, diciamocelo: non sono certo una pertica… e uno gnomo mi rappresenta più di uno stambecco. Ma la parola che mi ha colpito non è stata quella. È stata: felice.

Perché in realtà, in quel momento, la mia testa era piena di pensieri. Mi rodeva per questioni mie, il ginocchio tornava a farmi male, e per di più era lunedì. Eppure, lui ha visto uno gnomo (per via della barba forse 😉…), ma felice.

La verità è che ogni giorno affronto le stesse sfide di tanti altri: quelle di un padre, di un marito, di un lavoratore che inizia a fare i conti con i capelli bianchi… ma che, tutto sommato, è ancora contento di averli tutti sulla testa.

Le sfide del vivere in uno spazio-tempo che ci appesantisce con stanchezza, caldo, visite mediche, bollette, appuntamenti settembrini di un anno che ricomincia… Niente di più, niente di meno.

E poi mi guardo intorno: gente che litiga con i vocali di WhatsApp, una ragazza che rischia di essere investita perché le cuffiette l'hanno isolata dal mondo e dal clacson che le strombazzava a un metro, sguardi bassi imbambolati su una tavoletta di vetro e plastica.

E allora sì, forse qualcosa di meno c’è.

E capisco perché, nonostante il ginocchio dolorante e i fastidi del lunedì, quell’amico abbia visto in me uno gnomo felice. 🧙‍♂️😊

lunedì 8 settembre 2025

Analogico 1 – Digitale 0. Uno sguardo batte migliaia di schermi

Leggo su Vatican News che, nell'udienza giubilare di ieri, tra decine di migliaia di cellulari alzati per immortalare "il momento col papa", Leone XIV ha notato l’unico che teneva in mano non un telefono, ma un cartello scritto a mano: "Santo Padre, abbraccio per favore".

E così papa Prevost fatto cenno all’autista di fermarsi, ha spalancato le braccia e si è avvicinato a Kevin, nativo digitale che, senza tecnologia, ha “battuto” tutti gli schermi puntati in piazza San Pietro.

Analogico 1 – Digitale 0.

Il minimalista digitale che è in me esulta (interiormente) con striscioni, trictrac e putipù, ma la scena va ben oltre il mio tifo personale.

Kevin ha "vinto" su quella marea di pellegrini digitalizzati perché l’assenza del cellulare ha creato una connessione immediata e diretta. I suoi occhi, liberi da filtri, hanno incontrato quelli del Santo Padre.

Mentre la folla osannante cercava uno scatto da condividere, il cartello di Kevin chiedeva un contatto, una relazione. Contatto che il Papa ha colto al volo. Relazione che, pochi istanti dopo, si è trasformata in incontro.

Contatto diretto. Relazione autentica. Incontro vero.

Sfogliando il libro che sto leggendo – La generazione ansiosa di Jonathan Haidt – a pagina 179 trovo un passaggio illuminante. Gli esperimenti condotti dall’autore e da altri studiosi americani hanno mostrato che con l’arrivo degli smartphone nelle scuole, nei primi anni Dieci, "gli studenti parlavano di meno tra le lezioni, a ricreazione e a pranzo perché iniziavano a passare gran parte di quei momenti a controllare il telefono (...) Questo significa che guardavano qualcuno negli occhi meno di frequente, ridevano insieme di meno e perdevano l'abitudine a fare conversazione."

Da quasi tre mesi sto sperimentando la pienezza di una vita “a occhi alzati”: mani libere, sguardo attento, presenza nel qui e ora che mi gusto come non riuscivo a fare da anni.

Non tornerei indietro per nulla al mondo. Il poco che mi perdo avendo eliminato i social non regge il confronto con ciò che guadagno: il mondo che mi vivo, le relazioni che scopro, gli incontri che mi gusto, dai più significativi ai più superficiali come il sorriso di un bimbo o lo sguardo di un cane.

Per inciso, tre mesi senza social e gli sguardi che ricambiano di più sono proprio quelli di bambini e cani. Strano? O forse no: niente smartphone.

Forse la mia scelta è stata un po' radicale e non dico che debbano tutti seguire il mio esempio ma una sfida te la lancio.

La prossima volta che alzi il telefono per “catturare” qualcosa, prova invece ad abbassarlo. Non scattare, non scrollare, non filtrare. Semplicemente guarda.

Forse scoprirai che il momento che cercavi non era dentro lo schermo, ma davanti a te, vivo, reale, pronto ad abbracciarti.

venerdì 5 settembre 2025

Due giovani che mostrano che la mascolinità non è tossica

Come ogni mattina cammino lungo Via della Conciliazione. I nastri bianchi e rossi già sbarrano le vie laterali: i preparativi per qualcosa di grande sono in pieno fermento.

Giunto in piazza San Pietro, un cielo terso e luminoso come non mai avvolge la facciata della Basilica, sulla quale campeggiano le immagini di due giovani: Pier Giorgio, ventiquattro anni. Carlo, appena sedici.

Quei due volti luminosi come il cielo di oggi, ci ricordano che santità e gioventù, forse, sono un binomio ancora vivo, ancora possibile.

Sì, la mascolinità tossica esiste. È un drammatico dato di fatto, e ogni mancanza di rispetto — anche la più piccola — va riprovata e condannata senza esitazione.

Ma oggi sembra che si voglia narrare soltanto quella. In tv, in rete, sui social, la virilità viene descritta quasi sempre come aggressiva, come se essere uomini fosse una colpa di per sé, come se implicasse una tara a prescindere dalle virtù personali o persino di genere.

Perché sì, le virtù maschili esistono, anche se oggi sembrano dimenticate. Esiste la virtù del padre separato che dorme in macchina pur di permettere ai figli di praticare tennis e danza.

Esiste la resistenza silenziosa e umile degli uomini che ad agosto lavorano otto ore sotto il sole su un cavalcavia autostradale. Esiste la fedeltà del marito che condivide i compiti con una moglie sfinita dal lavoro e mille incombenze domestiche. Ne conosco tanti.

Esiste il coraggio del giovane che difende un compagno bullizzato fregandosene del branco che lo esclude.

Ed esiste l’autocontrollo ammirevole dell’uomo che ieri, per strada, pur provocato da un ragazzo violento con tanta voglia di menar le mani, rinunciava a reagire trasformando la lite in dialogo.

Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, questa domenica, saranno lì a ricordarci che virilità e mascolinità non sono soltanto tossiche, ma possono essere luminose e virtuose, fino a condurre — per chi crede — a godere pienamente Dio. E io ci credo.

La mascolinità fedele, coraggiosa, allegra, protettiva e tenace di Pier Giorgio può essere un modello vincente per i ragazzotti della Generazione Z.

La virilità leale, responsabile, creativa, casta e umile di Carlo Acutis può offrire un’alternativa credibile ai maschi che oggi si smarriscono e indeboliscono davanti alle immagini vuote e desolanti di un minischermo. Non a caso è considerato il santo patrono di internet...

Il messaggio di questi due giovani uomini, santi e moderni, è una luce per tutti - credenti e non - capace di mostrare che essere uomini significa... amare con forza, servire con coraggio, vivere con speranza.

E noi. Siamo disposti a mostrare questi modelli virtuosi ai nostri figli maschi?

mercoledì 3 settembre 2025

Margherita. Una persona da incontrare o un contenuto da scrollare?

A Scanno c’è una donna di quasi novantaquattro anni, Margherita Ciarletta. Ogni giorno, dal 1949, indossa il costume tradizionale del suo paese. Non per folklore, non per scena. Perché le piace. E tanto basta.

“Il costume di Scanno è bello, a me mie è piaciuto e l'ho indossato. E basta. Poi degli altri a me non mi interessa.”

Nelle sue parole c’è una semplicità disarmante, quella che appartiene solo a chi ha vissuto una vita intera senza cercare approvazioni. “Sei contenta della vita che hai fatto?” le chiedono. Certo!

Settantaquattro anni di matrimonio, raccontati con un sorriso e con una frase che sembra custodire un mondo: Poi a me della gloria non importa per niente (…) non ci fai nessun progetto.

Non ha un cellulare, non conosce Wi-Fi né social. Eppure oggi il suo volto gira ovunque. È diventata virale senza volerlo, senza nemmeno sapere cosa significhi. Lei accoglie questa notorietà con stupore e gentilezza: non rifiuta una foto, non nega un saluto, ma si sorprende che qualcuno la cerchi fin sulla soglia di casa.

E allora viene da chiedersi: cosa cerchiamo davvero in lei? Forse l’illusione di autenticità in un mondo che corre troppo. Forse solo l’ennesimo contenuto che gli algoritmi sanno far brillare per qualche ora perché funziona per far guadagnare gli inserzionisti...

L'immagine di Margherita in abito tipico è di una viralità fragile, destinata a durare il tempo di un trend: presto sarà archiviata, insieme ai gattini e ai balletti scemi che riempiono i feed. Ma Margherita è molto più di un contenuto: è una persona. Una custode di memoria, di tempo, di vita.

Io penso che la forza di nonna Margherita sia in quel contatto solido con se stessa che noi abbiamo perso perché perennemente distratti da qualcos'altro.

Se vuoi incontrarla davvero, se vuoi ritrovare quel contatto col qui e ora che questi vecchi ancora custodiscono, puoi andare a Scanno ma anche farti una passeggiata in uno dei tanti borghi d'Italia in cui tante Margherita – e anche qualche uomo – siedono davanti a una porta, traboccanti di vita e di storie autentiche da raccontare.

Perché l’Italia è piena di questi grandi vecchi: musei viventi, disincantati ma autentici, sobri e preziosi. Quanti di loro sonnecchiano, invisibili nelle RSA di tutta Italia? 

Incontrarli sul serio è forse una delle cose più sensate che potremmo fare in questo periodo in cui tutto scorre senza lasciare veramente il segno.

Cercarli e ascoltare le loro storie potrebbe fare questo piccolo miracolo in ciascuno di noi.


lunedì 1 settembre 2025

Il problema sono i furbi

Al giallo del semaforo rallento. Sono in corsia per svoltare a destra, ma un’auto da sinistra mi taglia la strada e mi si piazza davanti. Non per necessità, ma solo per guadagnare quello spazio che mi serviva a frenare senza scossoni.

Scatta il rosso, poi il verde. Il frenetico usurpatore di spazio riparte in ritardo, distratto dal cellulare, ostacolando chi lo segue. E nel tirare dritto costringe altri due a brusche frenate.

È lunedì mattina, e da un episodio banale mi scatta la riflessione semaforica: quando occupi ciò che non ti spetta – che sia una corsia, una precedenza, o uno spazio di manovra – non ottieni un vantaggio. Generi solo disagi, rallentamenti, fastidi e spesso crei situazioni di pericolo.

E non riguarda soltanto la strada. Vale per la burocrazia, il lavoro, le gare d’appalto, la politica: ogni volta che qualcuno “si infila” dove non dovrebbe, il risultato è sempre lo stesso. Un danno a qualcun altro.

Un conoscente tempo fa mi disse che se tutti rispettassimo le regole, il mondo sarebbe più noioso.

No! Sarebbe un mondo in cui avremmo tutti tempo ed energie per ciò che conta davvero. Per crescere, per affrontare le domande importanti della vita, per fare progetti, coltivare affetti, relazioni, cultura, natura. Persino lo spirito.

Il vero rischio non è la noia, ma lo spreco, come gettare via tempo prezioso per contemplare rettangolini di vetro e plastica pieni di niente.