lunedì 21 luglio 2025

Se non puoi parlarne bene, non parlarne affatto

Primo giorno di ferie. Mia figlia è in piscina, mia moglie in giro a fare commissioni con sua madre. Io mi ritaglio un momento di zapping davanti alla tv.

Passo da un canale all’altro, poi mi fermo su Rai Premium: l’ennesima replica di Che Dio ci aiuti. Una prof di liceo, con il tono grave di chi certe cose le ha vissute, dice ai suoi alunni:

"Dovete fare attenzione a quell'apparecchietto che avete sempre tra le mani. Basta un clic per cambiare la vostra vita. Una foto che inviate, una critica fatta a qualcuno, un vocale. Un clic e avete rovinato la vita di qualcuno, e anche la vostra."

Il minimalismo digitale sembra perseguitarmi. E ne sono felice. Forse è Qualcuno che insiste a mandarmi segnali, oppure sono io che — con la mente più libera — inizio finalmente a vederli.

Guardo la prof parlare e mi torna in mente un episodio di dieci anni fa. Per sbaglio mandai al dietologo un messaggio che era destinato a mia moglie:

"Disdici tu che tanto la dieta l'abbiamo fatta male e secondo me nemmeno funziona."

"Ho provveduto a cancellare l'appuntamento" - fu la risposta laconica e del giovane professionista.

Mi sentii sciocco. E cattivo. Cattivo si, perché quello che avevo fatto era sleale. Avevo ferito l’amor proprio di un nutrizionista serio, con un messaggio stupido.

Quel giorno decisi che non avrei mai più usato una chat per sparlare ma nemmeno parlare di qualcuno. Né screenshot, né vocali girati, né commenti a bruciapelo. Cascasse il mondo.

E iniziai a lavorare su un proposito semplice:

Se non puoi parlarne bene, non parlarne affatto.

Da allora ho visto tante cose.

Litigate esplose su gruppi WhatsApp, amicizie finite per uno screenshot inoltrato, o per una frase estrapolata male.

Saluti tolti per un post su Facebook. Ho visto addirittura finire un matrimonio (o forse due) per colpa di un vocale girato a chi non lo doveva sentire.

L’errore è stato a monte: abbiamo lasciato che strumenti pensati per comunicazioni di servizio sostituissero le chiacchierate vere.

Un caffè guardandosi negli occhi. Un abbraccio. Un tramonto goduto insieme, in silenzio, senza la fregola di pubblicarlo.

Il telefono non è colpevole. Lo siamo noi, ogni volta che scegliamo la scorciatoia della codardia digitale.

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