Una volta, quando ci fermavamo al semaforo, l’istinto era girare la testa e dare un’occhiata a chi si era fermato accanto.
Un sorriso, un'occhiata, magari un'occhiataccia se indugiavamo un po' troppo su un bel paio d’occhi femminili. Ma in ogni caso, c’era un contatto. Una connessione tra sconosciuti.
Oggi la sequenza è un’altra: scatta il rosso, freni, sblocchi lo schermo, abbassi lo sguardo, sparisci nel vortice sterile e scintillante del minischermo. E magari ti sorprendi se qualcuno — come me — strombazza quando il verde è già passato e tu resti lì, imbambolato.
E per un pedone che aspetta il suo turno? Stessa scena. Stesso capo chino...
Settantacinque anni fa lo scrittore americano Kurt Vonnegut scrisse una novella intitolata Harrison Bergeron.
Narrava un futuro distopico, in cui il governo controllava il libero pensiero stabilendo la libera uguaglianza. Chiunque desse segno di una maggiore abilità e intelligenza, doveva essere ricondotto nella media.
Come "normalizzare" il divergente? Lo si obbligava a indossare un dispositivo all'orecchio che emetteva un segnale acustico ogni venti secondi. Un segnale sempre diverso, talvolta interessante. L'obiettivo? Interrompere il pensiero prolungato affinché non traesse profitto dalla propria intelligenza.
Interrompere il pensiero prolungato…
Interrompere. Il pensiero. Prolungato.
Era il 1961. Tre generazioni fa. All’epoca sembrava solo un innocuo racconto di fantascienza.
Pensate.
Un dispositivo sempre con noi... Che interrompe il pensiero prolungato.
Vi ricorda qualcosa?
Forse la fantascienza era solo cronaca in anticipo. Oggi non ci serve un tiranno. Basta una distrazione attraente e breve, sempre più breve. Non imposta da un dittatore, ma offerta da multinazionali fameliche. E così seducente da essere scelta, e scelta e scelta, fino a quando non riesci più farne a meno.
Rialza lo sguardo. Riconquista qualche minuto di attenzione. È il primo passo per riprenderti tutto il resto.
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