In giro si vedono sempre più ragazzi con le cuffie.
Non parlo degli auricolari che usiamo un po’ tutti, ma di quelle grandi cuffie che ricordano quelle degli stereo anni ’80. Solo che oggi sono qualcosa di più.
Molti liquidano il fenomeno con un’alzata di spalle: “sono i soliti adolescenti che si isolano”. Forse.
Altri dicono che lo facevamo anche noi quando andavamo in giro con il walkman e le cuffiette. Ci creavamo una nostra personale colonna sonora di una vita che percepivamo come imposta. Forse lo fanno anche loro. Forse.
Ma secondo me c'è di più.
I loro sguardi bassi ricordano i nostri, quando ci estraniavamo con Baglioni o Michael Jackson a palla nelle orecchie. Ma più li osservo, più noto che in quei volti c'è qualcosa di diverso.
Vedo un'ansia e una paura che noi non avevamo. Sembrano in apnea.
Come se quelle cuffie fossero una bombola d’ossigeno, necessaria per resistere fuori dalla rete, giusto il tempo di tornare online appena arrivano a destinazione, per ubbidire all’urgenza di fissare lo schermo, di scrollare, di rituffarsi nel flusso.
E' solo la mia impressione.
Intanto, però, gli studi parlano chiaro: cresce in modo vertiginoso il fenomeno del peer phubbing — ignorare chi ci sta accanto per guardare il telefono —, direttamente collegato alla dipendenza da smartphone (fonte).
E così, mentre il mondo reale scorre accanto a loro — fatto di odori, di sguardi, di silenzi e di incontri — loro restano sospesi in una realtà filtrata, levigata, dove il peso dello spazio e del tempo sembra sospeso.
Non si isolano per scelta, ma perché la rete li trattiene dolcemente, come una ragnatela invisibile e attraente. Sono connessi a tutto, ma disconnessi da sé stessi.
La libertà? Forse l’hanno messa in modalità aereo. Forse.
Sono totalmente d'accordo, ma penso che la rete sia una tela meno dolce di quello che sembra. Sono aumentati in maniera esponenziale i giovani con attacchi d'ansia e di panico con un aumento considerevole di richieste di aiuto verso gli specialisti del settore....i genitori non riescono più ad aiutarli perché sono essi stessi intrappolati nel mondo virtuale...le analisi le abbiamo fatte in tutte le sedi ora però tocca vedere come uscirne...
RispondiEliminaEsatto... Anche noi genitori siamo intrappolati nel mondo virtuale perché ci hanno messo in mano uno strumento potente senza prepararci a usarlo. E' per questo che quando ho preso coscienza della cosa, ho cominciato a prendere le distanze da quel mondo, fino ad arrivare, per gradi al minimalismo digitale. Ho riguadagnato tempo e salute mentale. Come dici tu, ora tocca vedere come uscirne... Non è facile ma bisogna trovare dei modi per correre ai ripari e - semmai ciò fosse possibile - educare a un uso consapevole della tecnologia. Un caro Saluto Maria :-)
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RispondiEliminaGrazie Alessandro, nella mia piccola esperienza pastorale vedo che si riesce a rompere la muraglia del "phubbing" quando i genitori hanno abituato i figli fin da piccoli ad essere ascoltati, a connettere con i loro bisogni esistenziali, in modo che la "infosfera" non sia la loro unica realtà ma una "realtà" da abitare senza trascurare la vita vera. Grazie per ricordare questo grande sfida educativa!
RispondiEliminaE' proprio così, ed è relativamente fattibile fino a quando i figli, pressati dall'ansia di essere come i loro pari, non chiedono il cellulare. Da quel momento è una lotta impari in cui il flusso dell'infosfera assedia loro ma anche noi. Dovremmo avere il coraggio - noi adulti per primi - di rimettere lo smartphone al suo posto, quello di strumento al nostro servizio. Grazie per aver condiviso la tua esperienza dal tuo speciale punto di vista.
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