domenica 19 ottobre 2025

L'emozione della forza gentile

Stanotte ho sognato che un uomo prendeva a pugni una donna sul balcone di fronte a casa mia.

I femminicidi indignano e sconvolgono — le donne, certo, ma anche gli uomini per bene. Quelli che, come credo e spero, sono la maggioranza silenziosa: uomini che non fanno rumore, ma che davanti a tanta violenza provano vergogna e dolore.

Nel sogno sentivo le urla della donna, e poi ho visto l’uomo afferrare un coltello. Che fare? Sono corso in cucina, ho preso alcune bottiglie di vetro e ho cominciato a lanciarle, una dopo l’altra, gridando alla donna di difendersi, di allontanarlo.

Mi sono svegliato di soprassalto. Non saprò mai se, in quel mondo sospeso del sogno, si sia consumata l’ennesima carneficina o se una bottiglia sia arrivata dove doveva.

Ci penso ancora. Questi uomini non sono stati educati alla bellezza di mettere la propria forza al servizio della donna che amano.

Ricordo mio padre: per lui era naturale occuparsi dei lavori pesanti. Se lasciavo a mia madre un peso di troppo, bastava uno sguardo — che voleva dire: ragazzo, quello spetta a te — per farmi intervenire e sollevarla.

Oggi, quando mia moglie mi chiede di aprire un barattolo o di prendere qualcosa di troppo pesante, lo faccio con gioia. Con quell'espressione, un po’ ebete ma sincera, di chi si sente l’eroe della propria principessa.

Sono cresciuto con l’esempio di un padre che non ha mai alzato la voce, né tantomeno le mani, su mia madre, di un uomo che non si sentiva meno maschio se preparava la cena dopo che mamma aveva avuto una giornata di lavoro sfiancante. Sento ancora l'odore e il rumore del suo spezzatino che sobbolliva a fuoco lento...

E mi convinco sempre di più che ciò che manca, oggi, è proprio questo: l’esempio. L’educazione affettuosa e ferma dei padri verso i propri figli maschi. Ma anche la capacità, come società, di non essere indifferenti.

Forse un saluto in più, una chiacchiera tra vicini, un gesto di attenzione che vada un po' oltre il "mi faccio gli affari miei", possono aprire porte. E quelle porte aperte, nei momenti di pericolo, potrebbero fare la differenza.

Se solo coltivassimo di più le relazioni umane, forse - chissà... - sarebbe più difficile per un uomo violento agire certo che il silenzio e la paura degli altri gli permetteranno di arrivare fino al gesto più vile del mondo.

venerdì 17 ottobre 2025

Se nonna mia vedesse gli smombies...

Leggo che due giorni fa una turista è finita in un canale di Venezia seguendo le indicazioni di Google Maps.

Non mi sorprende l'app — come tutte le cose fatte dall'uomo, può sbagliare — quanto il fatto che la tipa l'abbia seguita così pedissequamente da sospendere del tutto il cervello. Come se il buon senso e la capacità di supervisione e verifica fosse un optional da disattivare.

Caso isolato? Lavoro in una zona turistica e almeno una volta al giorno qualche visitatore distratto mi finisce addosso, immerso nel suo telefono, completamente rapito dallo smartphone.

Mi torna in mente nonna Fernanda. Ricordo quando, con un fazzoletto bagnato, rimandava indietro il bernoccolo che mi ero fatto sbattendo contro un palo della luce e mi diceva: "A bello de nonna, che volevi vede si era più duro er palo o la capoccia?"

Oggi sarebbe il suo compleanno… compirebbe inverosimilmente 118 anni, eppure le sue frasi continuano a ronzarmi nelle orecchie ogni giorno, come un mantra di buon senso popolare.

"Aò, o magnate o nun magnate, io ve manno via pe' satolli!" — ci diceva quando ci facevamo troppi scrupoli calorici davanti alle sue cenette straricche. E la sua concezione di dignità personale era chiara e ferrea: "Si t'abbassi troppo te se scopre er culo!"

Forte ma affettuosa, dignitosa e un po’ filosofa, me la immagino oggi, osservare sorniona gli smombies di questa generazione: ragazzi con lo sguardo fisso sullo schermo, incapaci di attraversare la strada senza rischiare la vita.

E scuotendo la testa, con quel sorriso di chi sa tutto, direbbe: "A regazzì, si freni solo quanno sbatti poi nun piagne si te spunta un ficozzo in fronte."

E non vale solo per le strade ma anche per la vita.

mercoledì 15 ottobre 2025

Non ho niente da fare? No, ho qualcuno per cui farlo

Qualche giorno fa ho avuto la gioia di festeggiare un evento speciale di un parente a me carissimo — uno di quelli che, purtroppo, la frenesia della vita mi concede di vedere troppo di rado.

Lottiamo tutti col tempo che sembra diventare sempre più un bene di lusso...

Un paio di giorni prima, mentre curiosavo tra gli scaffali di un negozio cinese, la vista di un semplice rotolo di carta per scontrini — sì, proprio quello dei registratori di cassa — ha risvegliato in me una creatività che da settimane sonnecchiava pigra in un angolo.

Così l’ho comprato. Insieme a una scatola di cartone per contenerlo e a due pennarelli, uno blu e uno rosso.

Tornato a casa, pensando ai festeggiati e alle loro mille sfumature, ho iniziato a scrivere auguri scanzonati e affettuosi, riempiendo metri e metri di carta. Tanti, davvero tanti.

Poi ho arrotolato tutto con pazienza, infilando il lungo rotolo nella scatola, in cui avevo praticato una fessura da cui spuntava l’inizio dei miei auguri infiniti.

Durante la festa, i protagonisti hanno iniziato a srotolare quella striscia interminabile tra risate, emozione e curiosità. Tutti si divertivano. Tutti, tranne qualcuno che, con l’aria di chi non vuole passare inosservato, ha commentato più volte: «Eh, certo che non hai proprio niente da fare tu, eh?»

Da sempre mi capita di incassare le svalutazioni di chi non sa riconoscere un gesto gratuito e sincero, una botta di creatività dedicata a chi vuoi bene. In passato ho anche permesso a frasi del genere di smontarmi e di avvilire i miei entusiasmi creativi. Un tempo mi ferivano. Ora non più. O meglio, non più di tanto.

Per non rovinare l'atmosfera ho taciuto, ma dentro di me pensavo - e lo penso ancora - che da padre di famiglia che lavora e fa mille altre cose, il tempo non ce l'ho, ma lo trovo per le persone a cui tengo.

Alla fine, non è il tempo che manca, ma la voglia di usarlo per qualcosa che non si può conteggiare e accumulare.

Vale davvero la pena fermarsi un po', togliere tempo a qualche cosetta meno urgente, magari ai minischermi perennemente accesi, e dedicarlo alle persone a cui tieni davvero.

lunedì 13 ottobre 2025

Controvento, con un giornale in mano

Ne ho avvistato uno, stamattina presto, seduto in un bar davanti a un caffè fumante.

Relativamente giovane - sui trentacinque, quarant'anni - con sguardo sinceramente interessato, un uomo leggeva un giornale cartaceo.

Navigava con gli occhi tra colonne e fondo pagina con sguardo attento e calma attenzione. Ogni tanto si soffermava un po' su un articolo, per indugiare più a lungo su un altro che gli appariva più interessante.

Ed era in quel momento che quella schietta curiosità, sembrava essere del tutto appagata.

Il paragone con gli sguardi imbambolati di tutte le persone che gli stavano attorno mi è venuto spontaneo.

Attorno a lui, la consueta processione mattutina di corpi presenti e menti altrove. Tutti chini, come piegati da un peso invisibile: quello dello schermo.

Il pollice che scorre, l’indice che tocca, la fronte che si piega in un’espressione neutra. Nessuna sorpresa, solo un flusso di immagini che passa e si dissolve prima ancora di essere compreso. E nessuno sguardo soddisfatto come quello del lettore che osservavo.

Questi, sembrava appartenere a un'altra dimensione, più felice — o forse semplicemente a un’altra idea di attenzione. Leggeva per capire, non per farsi trascinare. Non consumava notizie: le masticava. Ogni riga gli chiedeva tempo, e lui glielo concedeva.

Mi sono chiesto quando abbiamo smesso di leggere per davvero. Quando la rapidità ha preso il posto della profondità, e l’informazione è diventata rumore di fondo. Ci diciamo “connessi”, ma sembriamo sempre più isolati: ognuno dentro il proprio schermo, convinto di osservare il mondo, mentre in realtà ne vede solo il riflesso limitato e filtrato da un algoritmo. Che ci guadagna...

Lui, invece, con il suo giornale cartaceo pareva avere un contatto più autentico con la realtà. Non era solo un gesto nostalgico — era un atto di resistenza, di esistenza.

In una folla di dita che scorrono tra schermi accesi e occhi spenti, lui era la felice anomalia che leggeva, capiva, pensava.

giovedì 9 ottobre 2025

La libertà? Forse l’hanno messa in modalità aereo. Forse.

In giro si vedono sempre più ragazzi con le cuffie.

Non parlo degli auricolari che usiamo un po’ tutti, ma di quelle grandi cuffie che ricordano quelle degli stereo anni ’80. Solo che oggi sono qualcosa di più.

Molti liquidano il fenomeno con un’alzata di spalle: “sono i soliti adolescenti che si isolano”. Forse.

Altri dicono che lo facevamo anche noi quando andavamo in giro con il walkman e le cuffiette. Ci creavamo una nostra personale colonna sonora di una vita che percepivamo come imposta. Forse lo fanno anche loro. Forse.

Ma secondo me c'è di più.

I loro sguardi bassi ricordano i nostri, quando ci estraniavamo con Baglioni o Michael Jackson a palla nelle orecchie. Ma più li osservo, più noto che in quei volti c'è qualcosa di diverso.

Vedo un'ansia e una paura che noi non avevamo. Sembrano in apnea.

Come se quelle cuffie fossero una bombola d’ossigeno, necessaria per resistere fuori dalla rete, giusto il tempo di tornare online appena arrivano a destinazione, per ubbidire all’urgenza di fissare lo schermo, di scrollare, di rituffarsi nel flusso.

E' solo la mia impressione.

Intanto, però, gli studi parlano chiaro: cresce in modo vertiginoso il fenomeno del peer phubbingignorare chi ci sta accanto per guardare il telefono —, direttamente collegato alla dipendenza da smartphone (fonte).

E così, mentre il mondo reale scorre accanto a loro — fatto di odori, di sguardi, di silenzi e di incontri — loro restano sospesi in una realtà filtrata, levigata, dove il peso dello spazio e del tempo sembra sospeso.

Non si isolano per scelta, ma perché la rete li trattiene dolcemente, come una ragnatela invisibile e attraente. Sono connessi a tutto, ma disconnessi da sé stessi.

La libertà? Forse l’hanno messa in modalità aereo. Forse.

lunedì 6 ottobre 2025

Mentre il caffè rincara… La lezione di Antonia, Fernanda e Bruna

Adesso che il prezzo del caffè sale, tutti si lamentano. Eppure è da tempo che i numeri crescono silenziosi, che i prezzi lievitano, e noi con loro — a contare, a togliere, a fare spazio.

C’è chi, come me, ha la fortuna di un posto fisso, ma sente comunque il bisogno di ridimensionare le spese. E poi ci sono gli altri — tanti, sempre di più — amici, volti cari, che vivono la sfida della terza settimana, non più della quarta.

Ognuno reagisce con ciò che ha: chi risparmia, chi rinuncia, chi si lamenta. E poi ci sono quelli che non ce la fanno, che si lasciano cadere nel buio, o compiono gesti da cui non si torna.

Sento che ci stiamo avvicinando, passo dopo passo, a un tempo che somiglia a quello dei nostri nonni. Non c’è guerra - non ancora per lo meno - ma c’è la stessa fatica, la stessa incertezza. Con una differenza: loro avevano gli altri. Noi, invece, siamo diventati più soli, più chiusi, dissipati in schermi che sono fatti per connettere ma che dividono.

Da quando ho saputo che un caro amico ha perso il lavoro, quel pensiero non mi abbandona. Come sempre, quando l’inquietudine mi visita, mi rivolgo a Dio. Ho aperto la Bibbia, e la risposta è arrivata come un respiro conosciuto:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15)

A quelle parole il mio pensiero è ruzzolato all'indietro di sessant'anni, ai racconti delle mie nonne. A quando la solidarietà non si diceva, si faceva. A quando, pur stando peggio, si trovava sempre un modo per volersi bene.

Rivedo Antonia, mia nonna materna, classe 1916. Non era una gran cuoca, né una santa, ma la pasta la tirava a mano, e ci metteva sempre due uova in più. Servivano a riempire un piatto per la signora del piano di sotto, che non arrivava a fine mese.

Rivedo Fernanda, la nonna paterna, nata nel 1907, pantalonaia, la stessa voce asciutta e dolce della Sora Lella. Quanto mi manca! Per la sua amica ebrea Letizia, fiaccata dalle leggi razziali e dalla guerra, cuciva senza chiedere nulla.

E quei pochi soldi guadagnati la notte, cucendo orli a lume di lampada, li infilava nelle tasche dei pantaloni che restituiva a Letizia e a suo marito Settimio.

E poi c’è Bruna, la nonna di mia moglie. Consapevole del privilegio di fare le pulizie in casa di un ministro, imparò da sola ad andare in bicicletta per attraversare Roma e condividere quel litro d’olio o quel sacco di farina in più, coi parenti in difficoltà.

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15)

Non è forse questo ciò che fecero i nostri nonni? Non è forse questo, ancora oggi, il modo più vero per resistere, per affrontare la crisi che ci logora e che non possiamo controllare?

Forse la risposta non è solo nei numeri, nei tagli, nei bilanci o in una schermata di Gemini o ChatGPT. Forse la strada più autentica è tornare lì, dove tutto si teneva in piedi grazie a un gesto semplice: un piatto condiviso, un piccolo sacrificio, un atto d’amore.

sabato 4 ottobre 2025

Non sono invisibile!

Sala d’attesa del dentista. Seduti, in silenzio cinque adulti fissano i cellulari imbambolati e, una bambina sui quattro anni osserva attenta. Percepisco il suo sguardo curioso e indagatore e mi pare quasi di sentire i suoi pensieri...

"Le sedie sono grandi, belle. Le gambe che non toccano il pavimento: penzolano e dondolano; forte! Adesso però mi annoio…

Uno, due, tre, quattro, cinque adulti contando mamma, tutti silenziosi, tutti con la testa chinata su quei rettangolini luminosi che stringono in mano. Nessuno mi guarda. Nessuno sorride.

Quel signore con la barba ogni tanto mi guarda ma poi torna anche lui a fissare il cellulare. Dev'esserci davvero qualcosa d'importante lì dentro se sono tutti così presi… 

Io invece guardo la mamma. Anche lei col telefono tra le mani, e lo muove col pollice, su e giù, su e giù, come se fosse una magia che non finisce mai. Voglio anch’io quel telefono. Voglio che mi guardi.

Forse una strega cattiva ha fato un incantesimo che li tiene tutti con gli occhi fissi su quel coso? Ma io mi annoio...

«Mamma, me lo dai?»

Lei non risponde. Continua a guardare giù. Io insisto. Tiro la sua manica, faccio la voce più alta. Mi dice solo: «Te lo do quando smetti di chiederlo».

Ci provo. Chiudo la bocca forte, mi mordo la lingua. Conto nella mia testa: uno… due… tre… Ma dopo poco sento un peso dentro, come un nodo. Non ce la faccio più.

«Mamma, dai… posso?»

Lei non mi guarda. Non mi guarda mai. E il tempo passa… Faccio i capricci, mi lamento, piagnucolo. Non so che altro fare. Forse se mi arrabbio un po’ mi sentirà. Ma niente. Solo il dito che continua a scorrere sullo schermo. E tutti fissi, in silenzio… Che ansia… 

Il tempo non passa. Forse sono passati tantissimi minuti, forse ore. Voglio anch'io quel telefono! No! Voglio gli occhi di mamma. Voglio che mi guardi e mi dica che mi vede. Voglio il suo sorriso, quello che fa sentire caldi dentro. Non sono invisibile!

Ma quegli occhi restano lì, fissi, lontani da me. E io resto invisibile."

giovedì 2 ottobre 2025

Si sogna...

Ho chiesto a ChatGPT di generare un ipotetico testo di legge che stabilisse età minima e una licenza chiedendo a lei di stabilire i requisiti che occorrerebbe avere per un utilizzo sicuro di tali strumenti.

Questo è il risultato.

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Patente Digitale per l’Uso di Smartphone e Intelligenza Artificiale

Art. 1 – Età minima e abilitazione per l’uso di smartphone e intelligenza artificiale.

L’uso di telefoni cellulari di tipo smartphone e di sistemi di intelligenza artificiale è consentito esclusivamente a persone che abbiano compiuto sedici anni di età.

L’utilizzo è subordinato al superamento di un esame di abilitazione, volto a verificare la conoscenza e la capacità di impiego sicuro e responsabile dei dispositivi e dei servizi digitali.

L’esame di abilitazione deve accertare almeno i seguenti requisiti:

a) comprensione dei rischi connessi alla privacy e alla sicurezza dei dati personali;

b) capacità di riconoscere contenuti inappropriati, ingannevoli o pericolosi;

c) conoscenza delle regole di comportamento responsabile online e nella comunicazione digitale;

d) capacità di utilizzo sicuro delle applicazioni di intelligenza artificiale, inclusi strumenti di assistenza, automazione e interazione conversazionale;

e) consapevolezza delle implicazioni legali ed etiche connesse all’uso degli strumenti digitali.

L’esame può essere erogato da enti pubblici o accreditati, secondo modalità stabilite dal Ministero competente.

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E... Niente… Si sogna. 😅